Viene da chiedersi se il tempo si sia fermato, ma in senso negativo. I due amici “assoluti” ritornano alle solite canzoni del loro passato (ma ne sono mai usciti?). Il testo è di una banalità sconcertante e la musica è una versione rivisitata del pezzo “Svegliarsi la mattina“. Anche l’orchestra sembra poco convinta nell’esecuzione, e il voto 3 è per il coraggio.
Di fronte alla banalità di Scanu non si sa mai cosa dire. La musica è sempre la stessa, i testi anche, qui mancano solo tutti i luoghi e tutti i laghi tanto cari al cantante, che sicuramente è molto meglio e più apprezzato nelle vesti di imitatore e trionfatore di “Tale e quale show”.
Viene da chiedersi come mai una bella voce come quella del nuovo frontman della band (Leiner) possa cantare un pezzo del genere che non valorizza le sue capacità vocali e le sue venature blues che avevamo sentito a X-Factor. L’unione dei due talent sembra non funzionare, il brano è il solito pezzo fresco (quella sarebbe l’intenzione) arrangiato con ambizioni rock e il testo (quasi una ripetizione continua del titolo) non si capisce se sia un refuso di battitura o sia realmente voluto.
Per nulla semplice. E’ il solito delirio di Morgan. Un’accozzaglia di strumenti e parole, sussurrate dalla poca voce del Castoldi, sempre alla ricerca di una disperata originalità che però, così, diventa esasperante. Alle volte è meglio essere scarni, diteglielo.. visto che proprio lui adora tanto Endrigo e Tenco. Qualcosa non torna.
Sembra fatto apposta. Il titolo suggerisce la nostalgia del Neffa del passato, più spiritoso, più jazz, più originale. Il brano non lascia nulla, il testo è quasi strampalato e sconnesso. La musica sembra già sentita. Peccato, perché Neffa era una speranza di questo Festival.
Impianto tradizionale per questo brano scritto da Giuliano Sangiorgi, che si apre lento, con la voce solista di Caccamo quasi in forma cantautoriale classica alla Sergio Cammariere, per poi sfociare in un crescendo dove l'”amica” Deborah può far sentire la sua voce. E’ l’unico tratto interessante del pezzo, che per il resto lascia poco all’ascoltatore. Quasi non si riconosce la firma del frontman dei Negramaro, tranne nel finale dove dominano le chitarre e la batteria sincopata, in una ricerca di pop/rock non così riuscita.
Ritorna il semi rap populista del giovane napoletano, in un brano rapido e quasi esasperato, dove le parole si sovrappongo a un arrangiamento troppo ricco e ridondante. Siamo alla metà esatta della scala di voti da uno a dieci, perché c’è poco da dire, sia negativamente che positivamente.
Un altro rapper (all’italianissima). Il brano è molto cantato, di rap ce n’è poco.. è un parlato. La musica non è male, la chitarra acustica dà freschezza al brano, ma non basta. Senza infamia e senza lode.
La bella voce della Michelin non riesce ad essere valorizzata. Meglio quando canta con Fedez. Il pezzo è piatto, privo di luce e di sorprese. Sul testo possiamo anche discutere, ma non convince la stessa cantante, che sembra andare con i piedi di piombo.
Nonostante le rime scontate, il brano raggiunge la sufficienza per l’ampiezza dell’arrangiamento e le sonorità, che rendono giustizia alla voce della Fornaciari, piuttosto attenta all’esecuzione. Peccato per la scarsa interpretazione, il brano sarebbe arrivato di più al pubblico, che al fermarsi della musica sembra quasi aspettarsi un nuovo ritornello.
Uno dei testi sicuramente più originali di questo Festival, firmato da Marco Masini, subito riconoscibile. Sembra quasi di sentirlo cantare. L’impianto del brano è come una curva che sale e scende sugli archi e sul pianoforte e la voce della “rossa” si unisce delicatamente al senso metaforico del testo. E’ un pezzo abbastanza atipico per Noemi, che fa sentire il suo groove blues solo in alcuni punti del brano, dove all’eleganza del testo sostituisce quasi un grido di ribellione, incoraggiato dalla chitarra acustica e dalla variante espansiva del ritornello.
Il solito swing di Arisa sembra non spiccare in questo brano, dal testo delicato e curato, che qualche corda del profondo la tocca sicuramente. E’ la solita Arisa, niente di così nuovo.. eppure la sua voce, il pianoforte appena sfiorato e la chitarra d’accompagnamento, regalano nel complesso un ascolto piacevole, che a tratti fa anche riflettere, soprattutto nella parte iniziale del ritornello, dove senza l’accompagnamento della batteria, l’intensità della cantante (in certi punti anche accompagnata da un certa difficoltà tecnica di esecuzione) arriva tutta.
Già dal titolo sembra di sentire la voce di Gaetano Curreri che, come sempre, non delude, seppur cimentandosi in un pezzo piuttosto classico e appunto riconoscibile quasi troppo nella sua paternità. E’ indubbiamente curato, sia dal punto di vista del testo, e racconta di un amore maturo, sia dal punto di vista musicale, con un glam rock che ricorda alcuni passaggi di Vasco Rossi.
Un brano scritto da mezza Italia che Fragola, sorprendentemente, interpreta con tutto se stesso, nonostante parli di un amore vissuto, rinnovato dalla consapevolezza degli errori passati. Eppure, nonostante i suoi vent’anni, sembra essere credibile, accompagnato da una strutta classica sanremese, che però convince.
Pezzo potente, arrangiamento con echi classici che fanno risaltare la voce di Annalisa, in questo brano ancora più limpida e perfezionata. Forse il migliore brano di questo Festival, peccato per la somiglianza della strofa (quasi estrema) con “Sei bellissima” della Bertè.
Ritorna una delle regine della musica italiana. E’ vissuta, sentimentale, quasi mistica. La ragazza del Piper sembra ritornata ai tempi d’oro e anche l’interpretazione lo dimostra. L’arrangiamento rende giustizia al testo e al senso del brano, e la voce decisa della cantante ti fa rimenere incollato al pezzo dal primo secondo all’ultimo. Speriamo sia l’inizio di una nuova primavera, se lo merita.
Una canzone fatta di ritornelli, particolarmente complessa sia per quanto riguarda la musica e la stessa esecuzione dal vivo, sia per l’articolazione delle parole. Elio stupisce sempre, l’originalità de “La terra dei cachi” ritorna, dirompente, in questa canzone che non è canzone, in questo brano che nessuno mai canticchierà perché è impossibile. Sono tante canzoni in una, dal rock allo swing alla musica classica. I migliori del Festival!
Paolo Pontivi
(revisione e impaginazione Ivan Zingariello)
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