
Manuela Chiarottino è nata e vive in provincia di Torino. Vincitrice del concorso Verbania for Women 2019 e del Premio nazionale di letteratura per l’infanzia Fondazione Marazza 2019, nella scrittura ama il genere rosa, declinato in diverse sfumature. Tra le sue pubblicazioni si annoverano: Odio Babbo Natale… o forse no (More Stories, 2024), Il magico libro delle storie di Natale (2024), Decency Un amore proibito (Dri Editore, 2024), La libreria che costruisce ricordi (More Stories 2023), La casa dei nuovi inizi (More Stories, 2023), Un patto con il Marchese (Dri Editore, 2022), La libreria delle storie rimaste (More Stories, 2022), The Ghostwriter (Dri Editore, 2021), La stessa rabbia negli occhi (Barkov Edizioni, 2021), Matrimonio a scadenza (Dri Editore, 2020), La nostra isola (Triskell Edizioni, 2020), Tesoro d’Irlanda (More Stories, 2020), Fiori di loto (Buendia Books, 2020), La bambina che annusava i libri (More Stories, 2019), Incompatibili (Le Mezzelane, 2019), La custode della seta (Buendia Books, 2019), Tutti i colori di Byron (Buendia Books, 2018), Il gioco dei desideri (Amarganta, 2018), Maga per caso (Le Mezzelane, 2018), Un amore a cinque stelle (Triskell, 2016), Cuori al galoppo (Rizzoli 2016), Due passi avanti un passo indietro (Amarganta, 2016), Il mio perfetto vestito portafortuna (La Corte, 2016), Ancora prima di incontrarti (Rizzoli, 2015) e molti altri.
Oltre all’attività di scrittrice, lavora nel mondo dell’editoria come editor, writer coach, ghostwriter, counselor e operatrice di scrittura terapeutica.
Sei tornata da poco dal Salone del Libro di Torino. Quale genere letterario, secondo te, tira di più in questo momento e quale vive una certa crisi?
Per quanto riguarda la mia esperienza nelle fiere, a diretto contatto con lettrici e lettori, ho notato che i generi che attirano di più sono il fantasy, il romance e il thriller. Se però si osservano le classifiche di vendita, emergono anche molti romanzi appartenenti alla narrativa di formazione, che raccontano percorsi di crescita e trasformazione. Si potrebbe dire che si cerchi qualcosa che lasci una forte impronta emotiva o che faccia riflettere e che l’equilibrio tra intrattenimento e significato continua a essere vincente.
L’editoria sforna tantissimi titoli al giorno. Come dovrebbero districarsi i lettori e le lettrici nella scelta?
Non è semplice, perché l’offerta è davvero tantissima. Si possono cercare dei filtri come una community online, un circolo di lettura o una libreria di fiducia, leggere estratti e recensioni. Ma prima di tutto bisogna ascoltarsi, chiedersi di che tipo di storia abbiamo bisogno in questo momento, senza avere paura di abbandonare un libro che non ci risuona. E se da un lato possiamo continuare a seguire l’autrice o l’autore che abbiamo imparato ad apprezzare, dall’altro non precludiamoci a nuove scoperte. A volte cambiare genere non è così male.
Self sì, self no? Pro e contro dell’autopubblicazione?
Il self publishing oggi non è più solo un’alternativa, ma un percorso con un suo perché. Come editor, quando mi chiedono cosa scegliere per la pubblicazione, dico sempre che self sì, se si ha chiara la propria identità autoriale, la voglia di promuoversi sui social, e non solo, e un progetto curato. Chi pubblica in self deve investire sulla qualità (editing, grafica, comunicazione), non può improvvisarsi. Self no, se si pubblica in fretta per “esserci”, senza un vero lavoro sul testo o senza sapere come arrivare ai lettori. I pro sicuramente sono il totale controllo creativo, tempistiche più rapide, royalties più alte. I contro, visibilità da costruire, e soprattutto l’onere di occuparsi di tutto o di scegliere i giusti professionisti a cui affidarsi.
C’è un genere o un tema che prediligi come scrittrice e che eviti invece nei lavori su commissione?
Come scrittrice, prediligo il romanzo sentimentale, inteso non solo come storia d’amore, ma come racconto profondo di emozioni, legami, trasformazioni interiori. Mi interessa esplorare ciò che accade dentro le persone, i sentimenti che le muovono, le ferite e le rinascite.
Come ghostwriter, invece, di solito evito generi come l’horror, la fantascienza o il poliziesco puro, semplicemente perché non sono molto nelle mie corde narrative. Questo però non significa che non li conosca: ho studiato a fondo le caratteristiche dei principali generi letterari, li ho letti e continuo a farlo, a volte per piacere, altre proprio per lavoro.
Quando lavoro come editor, infatti, entro volentieri anche in territori che non scriverei di mio pugno. Perché l’editing non si basa solo sull’affinità col genere, ma soprattutto sulla capacità di riconoscerne le strutture, valorizzare la voce dell’autore, e guidare il testo verso la sua forma migliore, nel rispetto dell’identità narrativa di chi lo ha scritto.
Come riesci a conciliare la tua voce d’autrice con il lavoro di ghostwriting, dove devi metterti completamente al servizio della voce altrui?
Per me le due cose non sono in conflitto.
Quando scrivo come ghostwriter, il mio compito è quello di mettermi completamente al servizio della voce dell’altra persona. Ascolto, studio il modo in cui parla, sente, e da lì costruisco una narrazione che le appartenga, anche se la penna è la mia. È un esercizio di empatia ed è anche questo che lo rende affascinante. Come autrice, invece, do spazio alla mia voce, ai temi che mi stanno a cuore, al mio modo di raccontare il mondo.
A tenere insieme le due cose è l’amore per la scrittura, in tutte le sue forme. In fondo, scrivere significa sempre mettersi in ascolto.
Quando lavori come editor, qual è secondo te l’errore più comune che commettono gli scrittori emergenti e come li aiuti a superarlo?
L’errore più comune è voler dire tutto subito, senza fidarsi abbastanza del lettore. A volte c’è la tendenza a spiegare troppo, a sovraccaricare di informazioni. È comprensibile: c’è il desiderio di farsi capire, di non essere fraintesi. Ma la scrittura narrativa vive anche di sottintesi, di pause, di non detto. Un altro errore frequente è non lavorare abbastanza sulla struttura: iniziare a scrivere con entusiasmo, ma senza avere chiaro dove la storia stia andando, né come far evolvere i personaggi e man mano perdersi per strada.
Il mio compito, come editor, al di là delle correzioni, è accompagnarli a vedere la storia da fuori, con uno sguardo più ampio e consapevole. Li aiuto a riconoscere i punti deboli come i punti forti, a rimettere ordine dove serve, a volte a ritrovare il perché di quella storia.
Infine, cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere la carriera di ghostwriter o editor nel panorama editoriale italiano di oggi?
Consiglierei prima di tutto di coltivare una profonda passione per la lettura, spaziando nei generi. In entrambi i casi, è chiaro che bisogna formarsi con cura, scegliere corsi seri di scrittura, fare pratica, molta pratica. Come ghostwriter ci vuole amore per le storie degli altri, perché è un lavoro fatto di ascolto, empatia e discrezione; bisogna ricordarsi che non si è mai al centro, si è solo la penna dietro a una voce. Una voce che bisogna saper restituire in modo autentico, senza sovrascrivere chi ti affida il suo racconto.
A chi vuole diventare editor direi di allenare anche lo sguardo critico, leggere da editor, per riconoscere struttura, tono, ritmo narrativo, e capire come intervenire nei testi, e senza snaturarli.
Per me è un lavoro bellissimo, ma non è sempre facile come molti pensano. Non ci si può improvvisare da un giorno all’altro.
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