Con Pier Paolo Pasolini sempre a portata di citazione e il desiderio perenne di raccontare gli ultimi sullo schermo, era una persona complicatissima, propensa ad una solitudine che probabilmente non disprezzava del tutto.
Emerge questo nel visionare Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari di Simone Isola e Fausto Trombetta, il cui titolo suggerisce chiaramente l’intenzione di effettuare un viaggio alla scoperta della figura di colui che, prematuramente scomparso il 26 Maggio del 2015 a sessantasette anni, ha costruito la propria trentennale carriera cinematografica su tre soli lungometraggi di finzione, se escludiamo i suoi primi documentari a sfondo politico sociale come Parte bassa, datato 1978.
Il Parte bassa di cui viene mostrato anche qualche passaggio nel corso della oltre ora e quaranta di visione che parte dall’Ottobre del 2014, quando Valerio Mastandrea lesse nella sede del quotidiano Il Messaggero la sua lettera aperta rivolta a Martin Scorsese nell’intento di portarlo a conoscenza della situazione di Caligari, cineasta da sempre outsider ignorato dai produttori e allora fermo alla sua opera seconda, ovvero L’odore della notte del 1998.
Opera seconda che, oltre allo stesso Mastandrea, incluse nel cast i Marco Giallini, Giorgio Tirabassi, Emanuel Bevilacqua e Francesca d’Aloja che la ricordano nel documentario; come pure la scenografa Laura Casalini e Marco Risi, che la produsse e che va ad arricchire ulteriormente lo stuolo di nomi tirati in ballo in un insieme principalmente strutturato sulle tappe della lavorazione di Non essere cattivo, terza e ultima splendida fatica caligariana.
Fatica di cui, tra l’altro, viene rievocato il primo teso giorno di riprese; man mano che i suoi protagonisti Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Silvia D’Amico, Roberta Mattei e Manuel Rulli prendono la parola insieme ad altri componenti della troupe, dal montatore Mauro Bonanni agli sceneggiatori Francesca Serafini e Giordano Meacci, fino all’autore della colonna sonora Paolo Vivaldi, all’assistente alla regia Simone Spada e al direttore della fotografia Maurizio Calvesi.
Quest’ultimo, in particolare, descrive come individuo dal modo di essere asciutto e con poche parole il compianto regista che esordì nel 1983 attraverso il chiacchieratissimo Amore tossico, interpretato da veri dipendenti dalle droghe e dei quali troviamo qui interpellati lo scomparso Roberto Stani, la Pamela Schettino che fu nel film Er Donna e la Michela Mioni che racconta delle iniezioni di acqua distillata nella finzione scenica e del fatto che ogni mattina il medico personale di Marco Ferreri portava il metadone sul set.
E non mancano filmati del Cesare Ferretti che morì di AIDS solo sei anni dopo le riprese della pellicola, curiosità cinefile (scoprirete l’omaggio a Mean streets – Domenica in chiesa, Lunedì all’inferno, tanto per tornare a Scorsese), vecchie fotografie in bianco e nero e progetti lungamente preparati ma mai realizzati, da Anni rapaci a una produzione riguardante le baby squillo.
Senza contare interventi del giornalista e critico cinematografico Fabio Ferzetti, del pittore e musicista Nicola Pankoff e di mamma Caligari, Adelina Ponti, la cui testimonianza parla di un figlio timido abituato a vivere con poco e umilmente, all’insegna della sua grandissima passione nei confronti della Settima arte.
Tutto materiale (molto inedito) che provvede in maniera inevitabile a fare di Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari l’interessante e giustamente commovente omaggio ad un talento che amava il cinema ma che, sempre ostacolato, si è dovuto accontentare di aver regalato al pubblico un autentico trittico di gioielli in un sistema marcio tutto italiano destinato a sfornare, di giorno in giorno, tonnellate di mestieranti incapaci di svolgere il loro mestiere, nonché responsabili di spesso pretenziosi filmetti fabbricati a raffica e subito dimenticati dallo spettatore.
Francesco Lomuscio
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