Se son rose: il Broken flowers di Leonardo Pieraccioni

Il punto di partenza di Se son rose è molto semplice: stanca di vedere il padre campione di una inarrestabile corsa al disimpegno, la quindicenne Mariasole Pollio decide di inviare a tutte le sue ex un fatale messaggino: “Sono cambiato. Riproviamoci”.

Fatale perché da qui, interpretato dallo stesso Leonardo Pieraccioni che si trova dietro la macchina da presa, l’uomo, giornalista che si occupa di tecnologia e innovazione per il web, vede incredibilmente arrivare risposte da diverse delle sue passate compagne.

©_ANGELO_TRANI

A cominciare da un divertente incontro con una Caterina Murino diventata suora laica, quindi è sulla sequela di sketch che vedono progressivamente tirate in ballo, appunto, le diverse figure femminili che hanno fatto parte della vita del protagonista – comprendenti anche la moglie Claudia Pandolfi, ormai legata ad un Gianluca Guidi inventore folle e fissato con il Medioevo – che si costruisce la sceneggiatura, scritta dallo stesso Pieraccioni affiancato dal Filippo Bologna regista di Cosa fai a Capodanno?.

Sceneggiatura la cui idea di partenza non può fare a meno di richiamare alla memoria quella che fu nel 2005 alla base di Broken flowers di Jim Jarmusch, nel quale Bill Murray, in seguito al ricevimento di una strana lettera, si trovava a rivedere le uniche donne frequentate vent’anni prima; man mano che si passa da una Gabriella Pession professoressa di filosofia, separata e con due figli gemelli, a una Antonia Truppo prossima al cambiamento di sesso.

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Ma, in mezzo a continuo confronto generazionale tra chi è cresciuto ascoltando musica su vinile e i giovani d’inizio terzo millennio che ne fruiscono dal web e un’esilarante apparizione per un Vincenzo Salemme che, invalido, va ad arricchire ulteriormente il cast insieme alla veterana Nunzia Schiano e alla Elena Cucci di A casa tutti bene, è sicuramente il momento che vede coinvolta una brava Michela Andreozzi nei panni di un’artista che sembra aver perso la propria memoria a rientrare nei più riusciti della circa ora e mezza di visione.

Un momento capace di strappare risate ma, a suo modo, di risultare anche toccante, nel corso di un invito in fotogrammi a riscoprire la maniera di conoscersi concreta e lontana dalla moderna tecnologia che, tra battute piuttosto tristi (citiamo soltanto la app per andare a prostitute: Apputtane) e altre maggiormente accettabili (“Due anni di ormoni cambierebbero anche il PD”), non manca di rivelarsi discontinuo e, di conseguenza, difficilmente in grado di conquistare in pieno lo spettatore.

 

 

Francesco Lomuscio