Searching: un thriller ambientato interamente online

All’origine di film come Searching di Aneesh Chaganty risiede il mondo “social” che ci circonda.

Quell’essere sempre connessi, sempre su decine di social network diversi, quella volontaria necessità di dire a tutti dove siamo e cosa facciamo in ogni momento, ci ha portato a vivere una vita perennemente online.

Che questo ci piaccia o meno, ne abbiamo ormai preso consapevolezza. Così pure il cinema. Più volte abbiamo visto in scena film dove classiche camere di ripresa, steadicam, dolly e altra strumentazione cinematografica professionale è inutilizzata e lascia spazio alla sola pc webcam  o alla fotocamera di uno smarphone.

Dal 2014, lungometraggi come  Unfriended e Open windows hanno seguito questo particolare modus operandi, e il pubblico ha gradito. E alla filmografia di Timur Bekmambetov, produttore del primo dei due, a si sono aggiunti Unfriended: Dark web di Stephen Susco e l’annuncianto Unfollowed di Bryce McGuire.

Searching proviene dalla medesima produzione e costringe lo spettatore alla visuale fissa di web cam e cellulari vari, cercando, però, di movimentare un po’ le cose, anzitutto ampliando lo spazio temporale in cui si svolge l’azione.

La storia gira intorno a David Kim (John Cho, il  Sulu dei nuovi Star trek), un padre alla disperata ricerca della figlia Margot, scomparsa nel nulla. Ad aiutarlo è il detective Vick (Debra Messing, la Grace di Will & Grace), una poliziotta, ma anche una mamma single che sembra prendere estremamente a cuore il caso di David.

Con grande sfacciataggine, il film fa uso abbondante del product placement, rendendo di fatto i dispositivi Apple i veri protagonisti del tutto.

Il padre di Margot carica l’intera vita della propria famiglia su di un Mac Book, come ci viene mostrato nelle situazioni iniziali, e, quando la figlia scompare, utilizza le chiamate della app faceTime e le chat di Message per contattare chiunque l’abbia vista negli ultimi istanti prima della sparizione.

Non solo, scopriamo anche che il signor Kim, che infatti vive in California, lavora proprio per la Apple.

Volute o meno, le onnipresenti citazioni all’azienda di Cupertino sono state diligentemente tradotte in tutte le lingue dei paesi dove il film uscirà al cinema. Ogni schermata e tutte le chat sono state ricreate per essere comprese dal pubblico del paese di riferimento.

Seppur con un inizio poco verosimile, dove le indagini personali del padre di Margot sono più efficienti di quelle della polizia, con il proseguire della storia Searching si fa più intrigante.

Il susseguirsi di colpi di scena finali, in qualche modo intuibili solo dallo spettatore più attento grazie ai numerosi indizi disseminati lungo tutto il film, fanno di Searching un thriller in fondo godibile. Non c’è pretenziosità e, sicuramente, non è paragonabile a tanto altro cinema dello stesso genere, ma, per chi ha voglia di trascorrere una serata in compagnia di una lieve suspense e di un mistero da sbrigliare, Searching è un film più che adatto.

 

 

Giulia Anastasi