Sergio Stivaletti è uno dei nomi più importanti del cinema fantastico e horror italiano.
Maestro degli effetti speciali, regista e sceneggiatore, ha collaborato con icone come Dario Argento e Michele Soavi contribuendo a dare forma e sostanza visiva a incubi e meraviglie del grande schermo. Con una carriera iniziata negli anni ’80, Stivaletti ha portato l’artigianato degli effetti prostetici e meccanici a livelli internazionali. Conosciamolo insieme con questa intervista.

«Com’è nata la tua passione per gli effetti speciali?»

Ho scoperto la magia degli effetti ottici e dell’animazione molto giovane, ammirando un film con i dinosauri animati dall’immenso Ray Harryhausen. All’epoca mio padre mi portava tutte le domeniche al cinema parrocchiale dove vedevamo quasi sempre i film di Sergio Leone e le varie imitazioni western. Ma ogni tanto il film era diverso, magari era un film di fantascienza con i mostri o i dinosauri. Uno dei film che vidi allora parlava appunto di uomini preistorici che lottavano per la sopravvivenza contro i dinosauri. Il film era “Un milione di anni fa” e vi recitava per la prima volta sullo schermo una giovane e bellissima Raquel Welch, ma soprattutto i dinosauri che ai miei occhi erano altrettanto belli! Non i soliti uomini con una tuta di gomma addosso, sembravano veri anche se si muovevano un po’ a scatti. Avevo appena scoperto senza saperlo la stop-motion! Tornando a casa avevo tanta voglia di giocare riproducendo le avventure dell’uomo preistorico che lottava contro i dinosauri! Devi sapere che all’epoca esisteva un gioco, un soldato snodato con tutto il corredo da guerra che si chiamava G.I. Joe. Era una specie di Barbie per i maschi 🤣. Io lo adoravo e ci giocavo inventando le storie più fantasiose ispirato dai film appena visti, dunque dopo aver visto quel film tornai a casa e chiesi a mia mamma se potesse confezionarmi una pelliccia per vestire il soldato Joe da uomo preistorico e giocarci ricreando le scene del film dove lottava con i dinosauri 😊. Mamma non se lo fece ripetere due volte, era molto creativa, e dalla scatola dei colli di pelliccia usati tirò fuori i ritagli con i quali vestimmo il mio G.I. Joe da uomo preistorico. Forse erano quelle le prime prove generali del mio lavoro futuro!!! Poi, sempre grazie al mio papà, vidi al cinema capolavori come 2001: Odissea nello spazio e le domeniche al cinema si susseguivano facendomi conoscere tanti film e facendo nascere in me la passione per il grande schermo. Eravamo alla fine degli anni ’60 ed ecco che ebbi, con i ragazzi della mia generazione, l’immensa fortuna di vedere le immagini dello sbarco sulla Luna in diretta tv, cosa che credo contribuì non poco alla mia passione per il fantastico. Crescendo, in seguito, divenni lo spettatore più appassionato dei film di Argento e al liceo non facevo altro che disegnare scene che sembravano tratte dai suoi film, che divertivano i miei amici che ancora conservano quei disegni. Ma il mio incontro con il destino avvenne molto dopo. Già erano usciti film come Guerre stellari ed Alien ed io avevo iniziato a fare esperimenti con la 8 mm di mio padre. Provai con il cartone bucato a fare un cielo stellato e fu così che scoprii la magia del cinema e degli effetti speciali ottici!! Ci fu poi l’incontro con Pupi Avati per il quale costruii una Tour Eiffel tutta fatta di fiammiferi. Ma dopo quei primi passi più da appassionato che da professionista, un collaboratore di Argento, che aveva visto i miei esperimenti ed i miei disegni, mi chiamò per farmi realizzare dei cadaveri per il suo prossimo film: Phenomena. Accettando quell’incarico immediatamente, mi resi poi conto che c’era molto di più da fare che i soli cadaveri. Proposi dunque a Dario il design del mostro protagonista del film. Conquistai Dario con il mio modo di fare, disegnando e progettando visivamente gli effetti e mostrandogli in anticipo mie proposte in un modo forse per l’epoca inusuale. Del resto stavo studiando medicina e gli proposi una versione molto scientifica del “mostro assassino” derivante dai miei studi di medicina e genetica che stavo seguendo all’università. Lui accettò la proposta e fu così che nacque in me la professione del realizzatore di mostri e di effetti speciali. Da allora iniziammo la collaborazione, che ancora dura, con Demoni e molti altri film di successo che seguirono.

«In un’epoca dominata dal digitale, che ruolo hanno oggi gli effetti speciali manuali?»

Non sono affatto contrario al digitale – io stesso l’ho sperimentato per primo nel nostro paese facendo io stesso il primo film italiano che contenga effetti digitali su pellicola! Si trattava del film “La sindrome di Stendhal” dove c’erano molti effetti digitali che realizzai acquistando la mia prima stazione grafica Silicon Graphics. – Dunque credo molto nell’integrazione tra effetti pratici ed effetti digitali. Quando vedo produzioni che puntano solo sul digitale noto un appiattimento dovuto ad un’assenza di progettazione dell’effetto nel suo insieme: il vero valore di solito sta nel mix dei due mondi, come in molti film, che coniuga effetti animatronici, compositing digitali e in molti casi modellazione 3D.

«Quanto conta l’artigianalità nel tuo lavoro?»

Tantissimo. Io dico sempre ai miei studenti o aspiranti collaboratori che la progettazione è sicuramente più importante dell’esecuzione. Ci sono molte soluzioni tecniche da padroneggiare, il trucco, la scultura, l’animatronica sono la base su cui costruire poi la parte più digitale. Ora si modella anche in digitale come se si usasse la creta o la plastilina e ci sono poi le stampanti 3D che portano nella realtà quello che magari hai modellato sullo schermo. È una specie di “artigianato nobile” che deve usare il meglio dei due mondi per ottenere il massimo dell’effetto.

«Qual è stato l’effetto speciale più difficile da realizzare nella tua carriera?»

Difficile dire quale sia stato il più impegnativo… che uno dei nodi più complessi per me fu il bambino mostro di Phenomena (1985): lo progettai ispirandomi alla sindrome di Patau, dopo aver studiato genetica, e lo realizzai con il lattice schiumato che non trovavo in Italia e di cui inventai una formula per poterlo usare e tutto per realizzarne un trucco prostetico. Poi arrivò il giorno delle riprese e non avevo capito che avrei applicato io stesso la protesi. Il truccatore non intendeva farlo e fui costretto a farlo io. Ma poi superai la prova e di colpo divenni fondamentale per il film! Per conquistare la fiducia di Dario Argento gli mostrai un test in stop-motion di una lucciola in scala per una scena che poi realizzò diversamente, ma che lo conquistò facendogli capire che davvero avevo un qualcosa da dire in quell’ambito.

«Hai un “mostro” al quale sei particolarmente affezionato?»

Sì, direi il “Menelik” di Demoni 2 e le realizzazioni animatroniche di Demoni (1985): due momenti in cui le tecniche più tradizionali – maschere, prostetica, animatronica – hanno raggiunto un traguardo “italiano” nel campo fantasy-horror. Avevo visto le cose meravigliose realizzate da Rick Baker in “Un lupo mannaro americano a Londra” e raccolsi la sfida di fare una trasformazione in diretta anche io, e vi riuscii. Poi venne il turno di una creatura indipendente dalla figura dell’attore che si muovesse e facesse cose grazie ai meccanismi ed alla elettronica e fu così che realizzai Menelik. Era come un burattino con la mano dentro, ma per le espressioni avevo riempito la testa di meccanismi e servocomandi. Il tutto funzionò molto bene anche perché per le scene più cruente e violente ne avevo preparati diversi con diverse funzioni. La scena vista oggi ancora funziona 😊.

«Ti sei ispirato a miti o leggende per creare i tuoi effetti o personaggi?»

Assolutamente sì. Il mio approccio è scientifico, ma cerco sempre una radice narrativa o artistica: mi ispiro a leggende, malattie, simboli culturali o all’arte e all’illustrazione. Come accadde con il mostro Patau per Phenomena. Per rendere reale qualcosa di fantasia devi inserirvi elementi noti presi dalla realtà. Ci si deve ispirare all’arte o alla scienza ricorrendo magari alla zoologia o con la scelta di tecniche visive molto particolari come la stop-motion, spesso cariche di un valore simbolico che evocano una dimensione parallela dove il tempo non scorre come nella nostra realtà e aggiunge molto all’aspetto visivo del film.

«Com’è stato passare dietro la macchina da presa con film come “La maschera di cera”, “I tre volti del terrore”, “Rabbia furiosa”?»

Il passaggio da effettista a regista è stato molto naturale: ho portato la visione dell’effettistica anche nella regia. In fondo, facendo gli effetti speciali, ragioni già come un regista. Devi avere un’idea molto precisa di come montare, di cosa vuoi vedere sullo schermo gestendo attentamente tutti gli elementi. La differenza con la regia di un film è che devi preoccuparti di gestire gli attori, la recitazione, e immaginarti la scena nel complesso. In Rabbia furiosa forse è stato diverso e più complesso che negli altri due film. Ho puntato più sullo sviluppo psicologico dei personaggi che sull’effetto gore gratuito. Gli attori erano straordinari e sono stato sempre fortunato sin dall’inizio. In ognuno dei miei film ho avuto attori così bravi che mi hanno guidato nel tirare fuori da loro il massimo possibile. In fondo ho sempre diretto solo pupazzi, mentre loro mi hanno letteralmente dato l’anima ed io li ringrazio sempre per questo. Dirigere Rabbia furiosa è stato molto importante per me, volevo dimostrare a me stesso che ero in grado di lavorare su altre leve emotive e anche grazie ai miei amici Antonio Lusci e Antonio Tentori, con i quali ho scritto il film, credo di esserci riuscito. Con Antonio Lusci la collaborazione era nata su quel film e devo riconoscergli molto per la parte più squisitamente emotiva che trapela nei dialoghi davvero intensi. Purtroppo Antonio Lusci è recentemente scomparso e penso spesso al suo importante apporto al lato emotivo di quel film che sento di dovergli riconoscere.

«Quando dirigi, pensi prima alla storia o all’aspetto visivo?»

La visione parte sempre dalla sceneggiatura. L’effetto speciale non è fine a se stesso, ma legato alla storia. Progetto sul copione, poi in laboratorio mi lascio andare alle idee più folli e cerco sempre la strada meno scontata. Se non sperimento qualcosa non mi diverto e se non mi diverto non funziona! Poi però non improvviso tutto sul set: progettare in anticipo per gli effetti è fondamentale. Si fa uno storyboard e bisogna seguirlo, ma a volte ci sono delle eccezioni e anche avere intuizioni ed improvvisare nei film low budget può dare risultati belli ed inaspettati.

«Come ricordi l’esperienza su “Fantaghirò” di Lamberto Bava?»

Un’esperienza importantissima e meravigliosa: ho creato tutti gli animali e gli oggetti parlanti del film e alcuni di loro sono rimasti nel cuore di tutti. La pietra tornaindietro, il cavallo Chioma d’oro, Tarabas!! E mille altri effetti fantasy! È stata un’epoca che tutti ricordano con passione ed amore ed anche io devo molto a Fantaghirò! Praticamente un esempio quasi unico di storia fantasy nel nostro cinema. Lavorare per quei film per la tv mi ha formato nel gestire tempi stretti e integrazione tra trucchi sofisticati e narrazione fantastica.

«Come vedi oggi il cinema horror e fantastico in Italia?»

Ha vissuto una decadenza dopo gli anni ’80-’90, qualcuno dice che l’ultimo vero horror fu il mio MDC Maschera di cera nel ’97. Il paradosso è che oggi grazie alle piattaforme on-demand si mantiene vivo l’interesse per il cinema degli effetti speciali, ma in Italia abbiamo grossi problemi. I produttori veri non esistono e solo i facili tax credit sembrano motivare nuove produzioni. I veri produttori indipendenti fanno una fatica immensa e certi soldi li vedono sempre e solo i soliti che, paradossalmente, non ne avrebbero bisogno, con il risultato che non c’è molto spazio per nuove idee e per nuove produzioni. Gli unici che fanno poi un film horror, costretti in un budget ridicolo, fanno un film altrettanto ridicolo che non va molto lontano e perpetra la sensazione sbagliata che qui il vero horror non sappiamo più farlo! E mi sento di dire che non c’è cosa più falsa.

«Cosa ci manca per tornare alla creatività degli anni ’70-’80?»

C’è bisogno di coraggio!!! Di quella sfida artigianale, di continui esperimenti e di budget destinati a far emergere innovazione. Oggi invece si tende a un’illusoria democratizzazione: smartphone e telecamerine danno flessibilità, ma senza visione, istruzione ed un minimo di mezzi si ottiene un appiattimento e tutti i piccoli film fanno la stessa fine: non li vede nessuno e restano film caserecci, magari girati in 6K!!!

«Quanto conta la colonna sonora? Quali musicisti horror italiani apprezzi?»

La colonna sonora, a mio avviso, è il 50% di un buon film. Se poi il film è un horror, forse la percentuale aumenta! Dunque penso di averti risposto. Quanto ai musicisti, ovviamente non posso che ribadire il nome di Claudio Simonetti, con il quale spero di avere presto modo di collaborare ad un progetto. C’è poi il mio amico Maurizio Abeni, con il quale vanto una collaborazione da sempre e grazie al quale i miei piccoli film sono accompagnati da una colonna sonora degna di Hollywood!!! Ma anche Frizzi è un amico con il quale mi piacerebbe avere modo di lavorare. Nella musica da film credo che il genere horror sia la palestra migliore per sperimentare. E ti dico un piccolo segreto: la musica per i film è uno dei miei sogni nel cassetto che facevo sin da ragazzo. Strimpello anche io al sintetizzatore e intorno ai 20 anni andavo in un negozio vicino casa mia dove spiavo Claudio Simonetti che provava le tastiere più costose che non mi potevo permettere 🤣!! Ovviamente non sapeva chi fosse quel giovanotto che non si faceva gli affari suoi e guardava con interesse ai suoi acquisti tecnologici!!!

«C’è un genere che vorresti esplorare ancora da regista?»

Sì! Non vedo l’ora di fare un film di fantascienza!!! Ma nel cassetto ho molti altri progetti, tra cui anche dei fantasy e un survival!!! Spero di riparlartene presto!


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