Deciso ad andare oltre la superficialità dei luoghi comuni traducendo sulla scorta dell’attenta scrittura per immagini nel rivelatorio mélo Il prezzo del successo l’assoluta crudezza oggettiva dell’assennato punto di vista sul mondo dello spettacolo, dove a tendere i peggiori calappi al comico emergente Brahim sono i suoi familiari perversamente attaccati al vil denaro, l’ambizioso regista francese Teddy Lussi-Modeste, autore altresì della sceneggiatura dell’arguto check-up storico-romantico Jeanne du Barry – La favorita del re di Maïwenn, continua ad approfondire pure con l’ultima fatica, Silenzio!, le concrete discordanze fenomenologiche dei valori tralignati in disvalori.
Alzando parecchio l’asticella rispetto sia all’innocua commedia sentimentale Ti amo in tutte le lingue del mondo di Leonardo Pieraccioni sia allo schietto film di denuncia L’uomo spezzato di Stefano Calvagna, che affrontano attraverso approcci stilistici ed espressivi agli antipodi l’angoscia degli insegnanti oppressi sotto la spada di Damocle dell’ingiusta accusa di molestie ai danni d’inerti studentesse o presunte tali, l’opera d’impegno civile transalpina, dal titolo originale piuttosto evocativo, Pas de vagues, ovvero “niente onde”, antepone tanto alla capacità di far riflettere ironicamente quanto al classico pugno allo stomaco, che cementa l’amaro carattere d’autenticità, una contemplazione dapprincipio fredda, se non distaccata, dell’orrore del dolore in agguato.

A differenza della premessa in chiave fatalistica esibita ne L’uomo spezzato, attraverso l’emblematica didascalia del proverbio africano introduttivo (“Puoi alzarti molto presto al mattino, anche all’alba… Ma il tuo destino si alza sempre mezzora prima di te”), l’incipit ambientato in una scuola sita nella periferia parigina scandaglia subito, seppur in filigrana, gli appositi timbri antropologici ed etnografici. Congiunti, dapprincipio in prassi ed eminentemente nello spirito a seguire, coi medesimi vincoli di sangue e di suolo tenuti d’occhio ne Il prezzo del successo. Evitando però a una deleteria punta di tedio d’insinuarsi nell’ambito d’un cinema d’atmosfera intento ad acclimatare gli spettatori nel condizionamento ambientale che impedisce al protagonista di progredire davvero. L’incognita della noia di piombo, avvezza inesorabilmente a prendere piede a dispetto degli onesti tentativi di unire l’aura meditabonda all’efficace apprensione dei thriller di sicuro richiamo, sembra essere scongiurata sul nascere dalla capacità di sviluppare l’intrigo sin dalle prime battute per mezzo del sottosuolo dei gesti in classe, dell’intenso gioco fisionomico degli alunni e delle alunne, con la spontaneità di tratto delle significative reazioni mimiche in evidenza dinanzi ai versi letterari pronunciati dall’intuitivo ragazzetto di colore Modibo, nonché dell’indiscutibile verve dell’insegnante Julien. Convinto di riuscire ad appassionare l’incostante scolaresca al bisogno d’interrogarsi sulla passione e la fragranza dei sentimenti connessi alla densità delle parole piene. Frammiste, secondo copione, a quelle vuote. Dettate dalla vivace colloquialità. Colta quasi dal vivo per mezzo di un disegno pungente ed ermetico relativo ai disturbi della condotta dovuti all’ansia, allo spietato senso d’inadeguatezza, al mix a fasi alterne di vulnerabilità e rivalsa. L’esempio della lusinga nascosta nelle vesti del biasimo, conforme alla figura retorica dell’asteismo che segnala le qualità partendo dal rapporto di causa ed effetto delle finte critiche, innesca la molla dell’addebito iniquo.

Insieme al piacere della comitiva di evidenziare l’equivoco, con canti e motteggi collettivi, mentre le difficoltà dell’introversione di fronte all’esacerbante clamore dell’estroversione di gruppo covano sotto la cenere. Con buona pace dei motivi d’incertezza in grado di tenere qualsiasi tipo di pubblico, avvertito o ingenuo che sia, sui carboni ardenti, i momenti d’intimitá di Julien col compagno d’origine araba sottraggono il prosieguo della trama all’angoscia thrilling. Al posto del canonico brivido, o thrill che dir si voglia, concentrato sull’enigma da scoprire e sul clima di mistero, alla base degli sviluppi imprevisti cari ai seguaci del dinamismo dell’azione, prende piede quindi l’incrocio dei piani visivi conformi all’aura sospesa. La trascinante resa dei conti che aleggia nell’aria è vanificata però dalle modalità esplicative riconducibili ai plateali scatti di rabbia del facinoroso fratello dell’ipotetica vittima. Il dilemma amletico in merito al bisogno di confessare l’omosessualità nascosta pur di sfuggire al dubbio insinuato nei colleghi, ad eccezione della signora infatuata dell’immusonito educatore sbalzato di sella seppur pronto a montare di nuovo in cattedra, col rischio di passare dalla padella alla brace, palesa l’attitudine ad appaiare in modo piuttosto schematico i momenti più duri e il controcampo degli attimi maggiormente teneri. Privilegiando così le cadute di tono degli accenti a corto di debite sfumature alla compiuta osservazione sociologica ad appannaggio dell’indispensabile rigore strutturale. Necessario ad aggiungere la compattezza introspettiva delle penombre esistenziali alle corde dell’incomunicabilità, che vibrano innescando il desiderio di portare sul banco degli imputati il docente dedito invece a comunicare con chiarezza le nozioni necessarie ad arricchire il bagaglio di conoscenza in previsione dell’approdo all’età adulta, e alla prospettiva del precoce crepuscolo. Dispiegato, invece, con un’effigie manicheista che toglie all’alta professionalità del pur alacre Teddy Lussi-Modeste la chance di ricavare appieno linfa dall’esperienza maturata ex ante come professore. Nonostante l’apporto prezioso fornitogli nella stesura del plot di ferro dalla perspicace Audrey Diwan, che esordendo dietro la macchina da presa con La scelta di Anne – L’Événement aveva dato prova di alterare ad arte il grigiore imperante nelle decisioni dolorose da prendere sotto stress per non cadere nell’impasse della monotonia, la conoscenza personale degli eventi rappresentati non consente mai al climax di fornire una fertile alternativa alla sensazione di scontatezza.

Ai carrelli a schiaffo da un soggetto all’altro, al flashback dell’instabile complicità, instaurata a stento premiando con un kebab a testa la sete di conoscenza degli elementi lì per lì meritevoli, all’aria di sfida successiva e al silenzio frammisto all’indifferenza dei responsabili dell’istituto mancano perciò i guizzi dei Giovani Turchi della Nouvelle Vague. Che riuscivano a insinuare l’accalorata pericolosità del reale mediante una dotta ed empatica congerie di pause, empiti di rabbia, rimbrotti pubblici, carezze private. La paura dell’outing, per non ingenerare scioccanti scossoni, equiparati alle onde del mare che ne rendono accidentato l’accesso, non oltrepassa gli stereotipi dell’ostilità manifesta, del sarcasmo venato di sofferenza, delle scrollate di spalle. L’ardire in zona Cesarini dell’assunzione di responsabilità, anziché beneficiare dell’esame comportamentistico che cattura la pregnanza fisionomica e allegorica del volto celato dalla maschera indossata per eludere le ingiurie quotidiane, paga dazio alla faciloneria dell’enfasi di maniera. A distanza siderale dalla lucidità etica che sopperisce allo scoglio del pamphlet programmatico. Sebbene l’indiscutibile polso sostenga l’ennesimo miscuglio irrisolto di dolcezza e asprezza, la bilancia pende dalla parte del broncio perenne dell’esperto ma scolastico François Civil. Che nei panni dell’affranto Julien, inutilmente proteso a ghermire nel ballo conclusivo esibito alla stregua d’un sogno l’antidoto all’incubo a occhi aperti, svolge il compitino della psicotecnica recitativa lontano dai guizzi immedesimativi ed empatici dell’attore di razza. Silenzio! stenta dunque ad assumere l’identità dei modelli scopiazzati alla bell’e meglio. Disponendo d’una tastiera di tocchi lievi ma inerti sul piano dei contenuti e di pesanti sottolineature estranee alla maestria formale che veicola la ricognizione dello strazio di chi non sa smontare i biasimi immeritati nei binari dell’impatto emotivo. Impreziosito dall’aiuto decisivo del sale in zucca per uscire allo scoperto senza confondere nondimeno i diritti coi valori.
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