Benvenuti su Mondospettacolo, dove oggi incontriamo Silvia Collatina, un’icona del cinema horror italiano che ha lasciato un segno indelebile con i suoi ruoli in pellicole cult come Quella villa accanto al cimitero e Murderock – Uccide a passo di danza. Da bambina prodigio a figura amata dai fan di tutto il mondo, Silvia ci racconta la sua carriera, iniziata a soli cinque anni, il suo amore per il genere horror e il suo ritorno sotto i riflettori tra convention, festival e nuovi progetti. Con una passione contagiosa e uno sguardo sempre rivolto al mistero, Silvia ci guida nel suo mondo, tra aneddoti dal set, ricordi di Lucio Fulci e sogni per il futuro del cinema di genere.


Benvenuta su Mondospettacolo, Silvia! La tua carriera è iniziata da giovanissima, a soli cinque anni, con il documentario Psicologia infantile. Come ricordi quell’esperienza e cosa ti ha spinto a continuare a recitare?

Ho in effetti iniziato molto presto, facendo anche tanti spot televisivi. In Psicologia infantile mi ricordo che interpretavo questa bambina gelosa della sua sorellina appena nata. Ho in testa i momenti, le scene, le sensazioni che percepivo. Entrare nel cinema è stato casuale. È iniziato tutto per caso tramite un’amica di mia mamma che ci ha indirizzato presso l’agente cinematografico dell’epoca, molto famosa per i bambini, Ofelia Garcia.

Sei nota soprattutto per i tuoi ruoli in film horror iconici come Il fiume del grande caimano, Quella villa accanto al cimitero e Murderock – Uccide a passo di danza. Come sei approdata al genere horror e cosa ti affascinava di questi ruoli da bambina?

Sono lieta che questo genere mi rappresenti perché l’amore per l’horror ce l’ho fin da piccola e in modo naturale, quindi per me interpretare personaggi misteriosi in film del genere è stato tutto naturale, ne ero felicissima. Il mistero mi ha sempre affascinato.

In Quella villa accanto al cimitero di Lucio Fulci hai interpretato la misteriosa Mae Freudstein, un personaggio che ancora oggi è amatissimo dai fan dell’horror. Puoi raccontarci un aneddoto dal set e come è stato lavorare con un maestro come Fulci?

All’epoca non sapevo chi fosse, naturalmente, Fulci, ma ne percepivo l’importanza. Ho sempre avuto grande rispetto e riverenza per i miei registi. Li consideravo come dei maestri di scuola, per i quali ho sempre avuto molta considerazione. Fulci certamente non aveva un carattere facile. Poteva avere parole molto dure con gli attori e non aveva mezzi termini per dirle. Con me e Giovanni Frezza (cfr. Bob nel film) naturalmente non era così burbero, ma certo non meno esigente. Un po’ ci intimoriva, ma non ha condizionato il nostro modo di recitare. C’è un punto nel film dove Mae si trova davanti a una vetrina di un negozio dove c’è un manichino nelle forme di Ann, la baby-sitter (Ania Pieroni). A un certo punto si stacca la testa del manichino, che rotola a terra insanguinata, predicendo la morte di quest’ultima. Io dovevo piangere ed essere disperata, ma non ci riuscivo. Non avevo nessun dispiacere. Fulci si arrabbiò molto e quindi piansi dalla tensione, mi aveva intimorito, e non riuscivo neanche a smettere dopo il ciak. Venne Antonella Fulci, che stava con noi sul set, a rincuorarmi, abbracciandomi. Ma poi tutto passò senza traumi.

Nel film Murderock hai dato vita a Molly, un personaggio complesso e con un lato oscuro. Come hai affrontato l’interpretazione di una bambina con tratti sadici, considerando la tua giovane età?

Lavorare questa volta per Fulci fu molto facile. Ero più grande, ormai ci conoscevamo e mi diede delle linee guida di come doveva essere il mio personaggio. Avevo poche battute di base e mi ha detto per altre di improvvisare. È stato piacevole, in un clima molto rilassato. Ero più consapevole. Interpretavo questa bambina paraplegica, un po’ crudele e perversa, forse uno scudo contro la fragilità che aveva in realtà. Ho tirato fuori la mia parte macabra che ancora, e per sempre, si annida in me.

In un’intervista hai descritto il set di Quella villa accanto al cimitero come una grande famiglia, con attori come Catriona MacColl e Paolo Malco. Quali rapporti hai mantenuto con i colleghi di allora, magari grazie alle convention horror?

Le convention sono fantastiche, ti danno la possibilità di rincontrare vecchi compagni di viaggio e conoscere i fan, cosa altro potrebbe essere meglio. Siamo come una grande famiglia e si creano delle connessioni incredibili. Non ci si vede mai, ma è come se fossimo sempre tutti collegati e in contatto da sempre. Catriona poi per me è veramente famiglia, perché è una persona meravigliosa e ci vogliamo molto bene. Quando facciamo le Q&A a questi grandi eventi, si percepisce e si vede il feeling e il rispetto che c’è tra di noi, e ne sono orgogliosa.

Negli anni ’80 hai deciso di lasciare il mondo della recitazione. Cosa ti ha portato a questa scelta e come hai vissuto il distacco dal cinema in quel momento?

Quando ero adolescente, volevo essere come tutti gli altri, mi sentivo diversa, poi con i capelli rossi ero già una ragazzina particolare. Eravamo in poche in giro nel mio quartiere e molti mi vedevano come un alieno, una piccola strega. È stata una scelta naturale e mia madre non mi ha forzato. Dovevo girare Oci ciornie con Silvana Mangano e Marcello Mastroianni. Mi ricordo solo che c’è stata un’incomprensione con la produzione, una cosa poco chiara, e mia madre mi ha ritirato. E da lì è stato tutto naturale, non ne sentivo la mancanza. Oggi me ne sono altamente pentita, ma all’epoca ero un’altra Silvia, tra l’altro molto timida (cosa che oggi non sono), non mi sarei potuta forzare, non posso biasimare quella bambina.

Negli ultimi anni sei tornata sotto i riflettori, partecipando a convention horror, festival come l’Italian Horror Fantasy Festival e recitando in Fantasmagoria nel 2022. Cosa ti ha spinto a riavvicinarti al mondo dell’horror?

In realtà non mi sono mai allontanata dall’horror, che fa parte di me, vive nelle mie vene, nel mio modo di comportarmi e di vedere le cose. C’è sempre uno humour macabro e sinistro nella mia vita, che è molto divertente però, e i miei amici lo sanno. Se vedo un posto che incute paura, io ci voglio andare a tutti i costi e i miei amici mi devono trattenere. A volte accondiscendono. Partecipo spesso a convention all’estero e devo dire, con un po’ di rammarico, che in Italia non mi chiamano spesso. Noi qui abbiamo solo festival e non convention. Forse mi considerano poco italiana. Io in effetti mi sento internazionale, come i film di Fulci, che hanno sempre avuto un gran ritorno ed eco soprattutto all’estero, e posso testimoniarlo (nonostante siano passati più di 40 anni). Anche i fan d’oltreoceano me ne danno prova quotidiana. Va bene quindi così.

Hai dichiarato in passato di essere una grande appassionata di horror e di avere idee per sceneggiature. Puoi svelarci qualcosa sui tuoi progetti creativi, magari quel libro che vorresti trasformare in un film?

Di idee ne ho tante, sono un vulcano in eruzione e non è facile gestire tutto nella mia vita quotidiana, poiché poi ho un lavoro che mi impegna molto ed è totalmente diverso. Ho due, tre progetti piuttosto “originali”. Il primo, per me molto importante, si chiama Devilish Impulses ed è un tributo ai film anni ’80, quindi è stato concepito per quel tipo di imprinting. Vedremo se prima o poi si potrà fare, sono certa che sia piuttosto originale ai giorni di oggi, anche se, appunto, si rifà a quella decade, a quello stile. Basta con persone indemoniate, case infestate… è più un thriller parapsicologico con lati paranormali che omaggia The Fury, Il tocco della Medusa, Omen, Carrie, con richiami al Giustiziere della notte con Charles Bronson, il mio idolo da piccola. Poi ho anche ripreso a recitare in film stranieri e italiani come Cose nere di Francesco Tassara e Cinghia di Fabrizio Byron Rink, e ne devo interpretare anche 3-4 a breve. Mi piace molto continuare a dare il mio contributo. La vena recitativa è sempre rimasta dentro di me.

Partecipare a festival e convention ti ha permesso di incontrare fan da tutto il mondo. Qual è l’aspetto più sorprendente o gratificante di questo contatto con il pubblico che ama i tuoi film di tanti anni fa?

Incontrare i fan è sempre un enorme piacere, vedere i loro volti emozionati e felici. Noi attori di genere ci sentiamo persone normali, ma per loro siamo speciali. Quindi siamo molto grati a loro. E poi io sono in primis fan dell’horror e anche io mi ritrovo dall’altra parte della barricata molto spesso. Una emozione reciproca, quindi.

Mondospettacolo ama esplorare la passione e la creatività degli artisti. C’è un messaggio che vorresti lasciare ai lettori e agli aspiranti attori che sognano di lavorare nel cinema, magari nel genere horror?

È un genere molto difficile da supportare. In Italia, rispetto all’estero, si fa fatica a portarlo avanti, anche per una questione economica. Ci sono moltissime produzioni indipendenti con budget a disposizione molto bassi, anche a livello amatoriale (fanno tutto da soli: sceneggiature, direzione, suono e post-produzione), che sono valevoli, ma riscontrano tanti problemi per mettersi in evidenza. Andrebbero istituiti più fondi. Il cinema di genere, specie italiano, vive nel mainstream, ma noi sogniamo il grande cinema, quello dove andavi una volta emozionato con gli amici, con i popcorn, dove c’era magari il soffitto che si apriva e vedevi pure le stelle. Con il primo e il secondo tempo, dove aspettavi trepidante l’evoluzione del film e ti sbrigavi ad andare alla toilette o a comprare il gelato. E magari, per vedere quel film proibito, entravi con degli escamotage, ti spacciavi pure per più grande, perché c’era la censura, e solo questo rendeva tutto ancor più magico: vedere il tuo film da clandestino. Ecco, ci manca quella magia, quei brividi, quelle emozioni uniche… ne abbiamo bisogno tutti ancora.


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