Silvio Capeccia: i Decibel, un pianoforte, il punk

Quella che tocchiamo con mano dentro questi due dischi di Silvio Capeccia, sono dimensioni diverse, diverse direzioni e diversi sapori. Il punk dei suoi Decibel, quelli di Enrico Ruggeri, quelli di “Contessa” tanto per capirci, oggi ritrovano un suono e una forma nuova dentro il progetto “Silvio Capeccia plays Decibel – Piano Solo”: due dischi che troviamo dentro i principali store digitali che ripercorrono i brani di quel famoso movimento punk e li codificano in un lavoro in piano solo. Esatto: soltanto un pianoforte. E la bellezza qui prende forme altre e le risposte di Capeccia ci parlano di una metamorfosi e di nuove angolazioni di vita.

Noi parliamo sempre di bellezza cercando di andare oltre al solito cliché estetico. Per te cosa significa questa parola? Cos’è la bellezza?
Esistono varie rappresentazioni del concetto di bellezza: alcune rappresentazioni sono universalmente riconosciute (un quadro del Botticelli, una statua di Canova, un valzer di Chopin) altre sono invece proprie di ogni individuo per cui ad esempio un quadro astratto di Mondrian può suscitare forti emozioni in taluni così come totale indifferenza in altri soggetti.
Fatta questa premessa fondamentale, il concetto personale di bellezza è frutto del gusto che è maturato in base all’educazione artistica, alle esperienze personali nonché alla sensibilità che è propria di ogni individuo. Nel mio caso la bellezza si può ritrovare anche in una canzone dei King Crimson, dei Doors, o in quadro di Pollock, o comunque in una rappresentazione artistica che sia in grado di suscitare una profonda emozione e coinvolgimento interiore.

E mettendo a nudo uno strumento, lasciandolo da solo… che tipo di bellezza pensi si possa raggiungere?
Il pianoforte solo è la dimensione musicale per eccellenza, in virtù di una tradizione e di una produzione molto vasta per quantità e soprattutto qualità.
Semmai il problema può derivare dallo spostamento di un repertorio nato e proposto per anni in ambito rock (con il corredo di chitarre elettriche, tastiere elettroniche, batteria e voce) verso un mondo totalmente differente quale appunto quello legato al pianoforte. Per me questo potenziale problema è diventato un’ apertura alla prospettiva di rivivere quei brani, suonati per anni con la mia band, attraverso una nuova chiave di lettura. Non più quindi la forza aggressiva trascinante del rock ma una bellezza più evocativa ed eterea.

E quindi pensare che una canzone prodotta nella sua completezza si ritrovi ora spoglia quasi di tutto… emerge la sua verità o rischia di diventare un’altra cosa?
Le canzoni dei Decibel attraverso la rilettura pianistica sono diventate un’altra cosa: un rischio non solo accettato, ma che ho fortemente voluto. Non mi interessava la semplice trasposizione al piano di brani rock. Gli accordi ed alcuni spunti melodici sono rimasti invariati, mentre la sonorità del pianoforte ha trascinato ogni canzone in una nuova dimensione dove del brano originale resta solo un’ eco lontana.

E nel lungo esperimento in piano solo, aver levato il contributo lirico della voce, non trovi che privi il tutto di qualcosa di essenziale?
Alla luce del mio approccio di rilettura pianistica del repertorio dei Decibel, che ho racchiuso nei due album “Piano solo” di 28 brani (su un totale di circa 60 pubblicati dai Decibel in 6 album) ritengo che questo progetto viaggi in parallelo rispetto alla vita della band. Ho rivisitato la musica dei Decibel da una prospettiva differente ed autonoma, proprio perché è stato realizzato un lavoro creativo e non una riproposizione su altro strumento di brani rock privati del testo.

A chiudere, nel tempo dell’estetica e delle apparenze: che immagine pensi possa avere questo disco? Se dovessi pensare ad un video?
Con la copertina (realizzata da Essegi grafica di Torino) abbiamo cercato di allontanarci dall’immagine stereotipata del punk per entrare in una dimensione più “classica” attraverso le declinazioni scura (Piano solo 1) e chiara (Piano solo 2); la derivazione dal mondo punk resta solo nell’utilizzo del bianco e nero invece del colore.
A livello video penso invece ad una serie di immagini fisse che si susseguano in una lenta e continua trasformazione, con l’intento non di raccontare una storia ma di evocare stati d’animo legati al flusso musicale. Il brano strumentale ha il grande privilegio di comunicare senza parole, e può suscitare emozioni anche con poche immagini a supporto della musica.