Sotto il segno di Beethoven

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Presso la Biblioteca nazionale di Vienna è esposto un dipinto che raffigura Beethoven al pianoforte. Il maestro siede, il busto eretto, lievemente proteso all’indietro, i tratti del volto assorto: gli occhi sono abbassati, apparentemente rivolti alla tastiera ma in realtà fissati in un infinito spazio sonoro. Quello che colpisce, oltre al suo volto, è l’espressione di quello dei presenti che esprimono ammirazione e godimento. Beethoven era un grande virtuoso di pianoforte.

Il 20 dicembre si è svolto al “Rossini” il primo appuntamento dedicato ai concerti per pianoforte del Compositore tedesco (concerto n.1 e 3), mentre  ieri abbiamo avuto il piacere di ascoltare i concerti n. 2, 4 e 5. Di vero piacere si è trattato perché le due giovani e bravissime pianiste, Costanza Principe e Gloria Campaner, (accompagnate dalla Form, guidata da Federico Mondelci, direttore artistico dell’Ente) hanno lasciato il pubblico letteralmente a bocca aperta per l’estrema sensibilità, la grande maestria e la tecnica raffinata con cui hanno dato vita alle opere del Maestro.

Il Concerto n.2 (in si bemolle maggiore op.19) fu proposto a Vienna (1795) in una serata che vedeva Beethoven esecutore e Haydn (suo maestro) esecutore. Il lavoro piacque al pubblico ma non al suo esecutore che lo pubblicò solo sei anni dopo, quasi “come un omaggio ad un genere importante”, anche se l’esuberanza del solista nel primo allegro, esula chiaramente i limiti della consueta “buona educazione musicale”.

Passano pochi anni ma sono fondamentali nella storia della musica: cambia il mondo ed anche il pianoforte che dispone ormai di possibilità espressive impensabili tempo addietro. Da questi ingredienti nascono due pagine che segnano la storia del concerto oltre a quella tra compositore, esecutore e pubblico.

Il Concerto n.4 (in sol maggiore op.58) fu definito nel 1809 da Allgemeine musikalische Zeitung, uno dei più autorevoli periodici del settore pubblicato nel XIX secolo (la rivista recensiva spettacoli musicali di numerosi paesi, concentrandosi sulle nazioni di lingua tedesca ma copriva anche Francia, Italia, Russia, Gran Bretagna e occasionalmente l’America) “il più ammirevole, il più singolare, il più artistico e difficile di tutti i concerti di Beethoven”. Qui il Compositore esplora luoghi musicali sconosciuti e – senza mutare esteriormente la forma tradizionale – costruisce un nuovo equilibrio tra solista e orchestra in cui il primo si inserisce in una struttura sinfonica integrata e la seconda collabora attivamente al progetto musicale.

Quando nel 1809 si apprestò a portare a termine il suo Quinto Concerto, il Musicista è ormai all’apice della maturità. Con il pianoforte ha già compiuto quasi tutte le sue esperienze importanti: ha scritto i primi quattro Concerti, le Sonate più celebri (tra cui  l’Appassionata e l’ Aurora) e sul piano sinfonico ha già firmato capolavori quali l’Eroica e la Quinta.

Ormai sa esprimersi come meglio non si potrebbe, eppure riesce sempre a rinnovarsi. Il Concerto n.5 (in mi bemolle maggiore op.73) è l’esempio di queste possibilità. E’ stilisticamente la sintesi di un genere introdotto qualche decina di anni prima e che sul finire del Settecento, con Mozart, aveva acquistato una forma ben definita: un genere che derivava il proprio fascino dall’elemento virtuosistico garantito dallo strumento solista, dalla grande cantabilità e dal gioco contrappuntistico e stimolante fornito dall’insieme orchestrale. Il Concerto fu pubblicato a Lipsia nel febbraio 1811 con dedica all’arciduca Rodolfo d’Austria, mentre la sua prima esecuzione pubblica avvenne a Vienna il 15 febbraio dell’anno successivo (esecutore Carl Czerny). È denominato “L’Imperatore”.

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Si completa il ciclo dedicato al Compositore tedesco da parte dell’Ente Concerti di Pesaro presieduto da Guidumberto Chiocci:  un’ottima occasione per approfondire la conoscenza che spettatori e melomani hanno del grande Maestro, figura cruciale della musica colta occidentale, forse l’ultimo rappresentante di rilievo del classicismo viennese.

Tante cose ho ed abbiamo imparato: credo che la caratteristica che distinse Beethoven da tutti gli altri musicisti che lo precedettero – a parte il genio e la forza senza eguali – fu che si considerò un artista e difese i suoi diritti d’artista. Era e si considerava un creatore e pertanto superiore a re e nobili. Aveva una concezione decisamente rivoluzionaria della società ed idee romantiche sulla musica.

“Quel che ho nel cuore deve venire fuori e così lo scrivo”- disse al discepolo Carl Czerny. Mozart non si sarebbe mai sognato di dire una cosa del genere, e neppure Haydn o Bach.

E’ stato altresì il più formidabile “pensatore” musicale. Molti hanno voluto vedere in lui il ponte tra il periodo classico e quello romantico, ma è soltanto una etichetta di comodo e credo neppure troppo esatta. Nella sua musica c’è ben poco di romantico. “Beethoven non parlò il linguaggio dei romantici- scrisse al riguardo il critico americano Harold C. Schonberg – Aveva cominciato col comporre nella tradizione classica e poi era andato al di là del tempo e dello spazio, usando un linguaggio che lui stesso aveva forgiato. Un linguaggio compresso, enigmatico ed esplosivo, espresso in forme escogitate da lui”.

Decisamente un evento per intenditori e palati fini”

Questo Concerto, unitamente al n.2 (1787 e il 1789) ed al n.4 (1805-06) è stato

Presentato ieri al “Rossini” di Pesaro dalla Filarmonica delle Marche (Form) diretta da Federico Mondelci, ***unitamente alle pianiste Leonora Armellini e Gloria Campaner.

Si completa in tal modo il ciclo dedicato al Compositore tedesco da parte dell’Ente Concerti di Pesaro presieduto da Guidumberto Chiocci:  un’ottima occasione per approfondire la conoscenza che spettatori e melomani hanno del grande Maestro, figura cruciale della musica colta occidentale, forse l’ultimo rappresentante di rilievo del classicismo viennese.

Paola Cecchini

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