Spaccapietre: il corpo di Salvatore Esposito

Spaccapietre, presentato nell’ambito delle giornate degli autori alla settantasettesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, diretto dai fratelli Gianluca e Massimiliano De Serio, vede protagonista Salvatore Esposito, meglio noto come Genny della serie tv Gomorra.

Il film è ambientato in Puglia e lo vede nel ruolo di Giuseppe, lavorante in una cava e seguito dalla moglie e dal giovane figlio, ovvero Antonella Carone e Samuele Carrino.

Un mondo antico, ma in realtà fin troppo attuale, in cui il protagonista, dopo la perdita dell’occhio in un incidente, si trova a non poter più continuare a svolgere il proprio mestiere; mentre la moglie lavora duramente nei campi e il figlio vive il sogno di poter diventare un giorno un paleontologo, perché affascinato dai dinosauri. Ma a malapena la famiglia riesce ad offrirgli un minimo di educazione scolastica.

Giuseppe, dopo la sua disgrazia si vede costretto a sua volta, con l’aiuto della consorte, ad andare a lavorare anche lui sui campi, sfruttato con ritmi infernali dai caporali che decurtano dalla paga perfino acqua e cibo. Ed Esposito, che forse non riuscirà mai a levarsi di di dosso l’ingombrante personaggio della serie di cui sopra, dà come sempre un’ottima prova attoriale, spingendo probabilmente i suoi numerosi fan a vedere in sala un film che difficilmente un giovanissimo sceglierebbe di consumare con tanto di obbligo di mascherina in un cinema, considerando il periodo di emergenza da Coronavirus.

I fratelli De Serio in Spaccapietre ci mostrano senza sé e senza ma l’orrore, la mancanza di rispetto per la vita umana. Non siamo in un film di guerra con protagonista il popolo ebraico, ma cambia poco. Anche il colore della pelle e la provenienza sono solo dovuti alle necessità economiche degli sfruttati nei campi.

Un lungometraggio che gioca molto sulla fisicità di Esposito, il quale cerca a modo suo di dare una speranza al figlio, con quell'”Andrà tutto bene” che, in realtà, tutti comprendiamo essere ben lontano dalla verità. Un racconto sulla sofferenza umana, che in questo momento molto particolare del XXI secolo risulta davvero incisivo.

Forse ci si chiederà perché andare al cinema a vedere altra sofferenza, oltremodo con stringenti regole di sicurezza e una opprimente mascherina da indossare; ma, paradossalmente questo permetterà probabilmente alla spettatore di percepire ancora di più quello che i registi vogliono inscenare.

Quello che Salvatore Esposito riesce a trasmetterci grazie alla sua magistrale interpretazione. Se poi, all’uscita della sala, il giovane spettatore commenterà “Ammazza quanto è bravo Genny di Gomorra“, non dobbiamo dimenticare che la forza del cinema passa spesso attraverso delle icone che rimangono indelebili nel tempo. Paolo Villaggio sarà per sempre Fantozzi,  Sean Connery è James Bond e, di conseguenza, siamo contenti che Salvatore Esposito sia Genny di Gomorra, perché porterà il suo pubblico a vedere pellicole sempre più interessanti e coinvolgenti.

 

 

Roberto Leofrigio