SPECIALE TEATRO: FILIPPO MAMMI’ INTERVISTA “GAETANO TRAMONTANA”

Oggi parliamo di teatro a Reggio Calabria, in compagnia di un protagonista dei palcoscenici reggini degli ultimi anni: Gaetano Tramontana, 48 anni, autore/regista/attore, nonché direttore artistico dell’Associazione culturale “Spazio Teatro”, che da 15 anni produce spettacoli teatrali, laboratori per giovani attori e organizzazioni di rassegne in riva allo Stretto. Attualmente è impegnato con lo spettacolo Spingi e respira di e con Lorenzo Praticò, in cui è co – regista, che sabato 12 aprile andrà in scena al Politeama Siracusa reggino e poi anche in altre località italiane. Avevo collaborato con Gaetano alcuni anni fa e l’incontro, presso la sede dell’associazione a Reggio, ha quasi il sapore di una rimpatriata.

Caro Gaetano, sette anni che ci eravamo persi di vista! Come stai?

Beh, sono successe tante cose in questi sette anni (ride)! Ma stiamo bene; riuscire a impegnarti a teatro, in una realtà come quella reggina, che è estremamente complicata, non è facile, ma, nel complesso, posso affermare che tutto procede, a fatica, ma procede!

Parlami un po’ dei tuoi esordi. 

Ho cominciato a 17 anni presso una compagnia teatrale, a Reggio; nel frattempo mi sono diplomato e, successivamente, laureato in Lingue all’università di Messina; poi sono andato a Milano, dove ho conseguito il diploma in Regia e Drammaturgia presso l’università Cattolica. Avevo anche creato un gruppo attoriale all’ombra della Madonnina, finché, nel 1999, con un collega abbiamo avuto l’idea di fondare “Spazio Teatro” a Reggio Calabria. All’epoca, nella città dello Stretto non c’era più nulla di teatrale; il Cilea (il teatro comunale N.d.R.) era chiuso da anni per restauro, mentre il Politeama Siracusa era adibito ad aula universitaria. C’erano però due realtà di palcoscenico: una, amatoriale, del teatro dialettale, mentre l’altra era la Scuola del Teatro Calabria diretta da Rodolfo Chirico, una grande mente che tentava di sprovincializzare il teatro reggino, con risultati alterni; era una forma di teatro alla “romana”, perché vi insegnavano alcuni docenti delle scuole di teatro della Capitale. Noi puntammo invece ad un modello ed un linguaggio diversi, secondo noi più contemporanei: abbiamo iniziato subito ad organizzare i laboratori teatrali che, a quei tempi, erano un utopia nel reggino. Nel 2001 abbiamo inaugurato la sala di “Spazio Teatro”, cominciando a svolgere tutte le attività che perseguiamo tuttora. Oggi l’associazione è cresciuta molto ed ho progressivamente abbandonato i miei progetti milanesi per dedicarmici anima e corpo come direttore artistico. Come struttura organica siamo una decina di persone, poi abbiamo gli allievi e i giovani attori che variano di anno in anno. Il nostro obiettivo, anzi la nostra passione, è il teatro contemporaneo: siamo specializzati in reinterpretazioni di classici drammaturgici e sperimentiamo molto, con riferimenti ampi nella cultura generale.

Inoltrandoci nel classico e nel contemporaneo, quali sono i modelli che ti hanno ispirato maggiormente?  

E’ difficile rispondere perché sono un soggetto volubile, nel senso che potrei spaziare da Sofocle ai supereroi! (ride) Scherzi a parte, seguo sempre un’idea che avevo imparato a Milano, e cioè che il teatro può includere tutto, ogni genere. Per noi è importante questo ragionamento, perché ci rivolgiamo soprattutto al pubblico giovanile, il quale ha meno alternative di linguaggio rispetto alle generazioni passate. Adesso è il web il loro punto di riferimento; se un giovane vuole accostarsi alla cultura, lo fa in una maniera molto filtrata dalla Rete. Il teatro ha una grande particolarità: può rimescolare tutti i linguaggi, le arti e le scienze, come diceva Ronconi, fino al genere popolare, mantenendo sempre l’aspetto dell’ hic et nunc, senza il quale non esisterebbe. La rete può fare poco per il teatro, anche se il web è fondamentale per il nostro mestiere, ci permette di scambiarci materiali video e audio dei nostri spettacoli, ma rovina irrimediabilmente il “qui e ora”: il teatro si gode direttamente sulla scena, puoi anche armarti di videocamera e riprendere un’azione teatrale, ma, scaricandola e rivedendola, perdi il piacere di stare in platea, perché avrà sempre un aspetto freddo e amatoriale, professionale quanto vuoi, ma sempre amatoriale. Bisogna quindi capire le esigenze del pubblico giovanile, cosa ai giovani piace vedere, ascoltare e fruire. Questo per quanto riguarda l’ispirazione. Parlando di modelli, io ne ho avuti due, importantissimi per la mia carriera: Sisto Della Palma, professore del Centro di Ricerca teatrale di Milano, scomparso tre anni fa, e Renata Molinari, che mi ha influenzato molto sul piano drammaturgico. Loro hanno esercitato un’intensa presenza nella mia formazione, nella regia e nella scrittura. Invece, per la recitazione sono stati importanti gli incontri con Silvio Castiglioni e Gabriele Pacis, tra gli altri. Inoltre mi nutro di tutto, dal teatro contemporaneo, come Strehler e Costa, tanto per citarne due, al teatro di narrazione, quello di Baliani e del primo Paolini, ed anche un certo teatro figurativo. Sono onnivoro, mi ispiro in base all’urgenza delle tematiche che voglio esprimere; per esempio, in questi mesi abbiamo allestito un mio dramma, Memorie di Antigone, nel cui testo sofocleo ho sempre ravvisato tematiche “eterne”, ed una rivisitazione del Pifferaio Magico, in cui il pifferaio è un artista che combatte contro le istituzioni e la diffidenza. Ora stiamo lavorando con il teatro per i ragazzi, indirizzato alle scuole, che mi diverte molto perché amo lo sguardo acritico ed emotivo dei bambini e poi voglio raggiungere ampie fasce di giovanissimi, visto che il pubblico del teatro è sempre più vecchio, quindi bisogna far appassionare già i bambini a questa forma di spettacolo, trovando il linguaggio giusto.

A proposito di spettacoli, mi vuoi dire qualcosa su quello che andrà in scena sabato 12 al teatro Siracusa? 

Certo. Premetto che questo periodo è importante per Reggio, anche se si tratta di un momento buio, perché stanno risorgendo diverse realtà professionali di rinascita, e il teatro (e “Spazio Teatro”) è solo una di queste. Il nostro attuale lavoro Spingi e respira è stato inserito nell’ambito della stagione di prosa del Siracusa di quest’anno, nella rassegna “Rivelazioni”, un’iniziativa dell’associazione culturale messinese “Orcynus Orca”. Il testo andò in scena due anni fa, riscuotendo un buon successo, e il fatto che lo vogliano replicare ci riempie di orgoglio. Lorenzo Praticò, vero autore del dramma, è un giovane attore reggino che, dopo anni in giro per l’Italia con alcune compagnie, ha deciso di mettersi in proprio. Il dramma, che tratta del ciclismo, è un’opera forte, tesa ed emozionante, in cui Lorenzo ha messo molto di sé e dei suoi ricordi. L’aspetto originale dello spettacolo è che Praticò, pur non praticando il ciclismo, lo ha usato come metafora di scambio generazionale tra un padre e un figlio, ed è proprio questo inedito elemento ad aver interessato critica e pubblico. E’ anche un omaggio al grande ciclista Fiorenzo Magni che, ironia della sorte, morì pochi giorni prima del debutto dello spettacolo. Spingi e respira ha calamitato l’attenzione anche fuori dalla Calabria: il 25 maggio saremo infatti al teatro Ringhiera di Milano, mentre, con un altro testo di Lorenzo, presenzieremo all’Alexandria Scriptori Festival di Alessandria l’8 giugno, oltre che con altri spettacoli a data da destinarsi.

Tu sei poliedrico: autore, regista e attore. Come gestisci queste tre “personalità”? 

Se devo dire la verità, molto male! Non mi definirei neppure un “autore” in senso stretto, non sono molto prolifico con i testi originali, anche se curo ogni virgola dei copioni degli adattamenti in cui curo la regia. Inoltre è sempre più difficile per me gestire tutto contemporaneamente. La fatica si sente spesso negli spettacoli in cui sono sia regista che attore, infatti sto cercando di evitare di unire questi due aspetti, ma è persino più complicato, per un regista quale mi definisco, recitare nelle mani di un altro direttore di scena! Comunque, lo scorso anno mi sono trovato bene, solo come attore, in uno spettacolo del regista cosentino Ernesto Orrico, che ha spesso collaborato con “Spazio Teatro”; ormai mi lascio guidare da un regista senza più sentirmi condizionato, oppure senza più pensare “io questa cosa la dirigerei così”, e le prime volte mi capitava spesso. Anzi, adesso mi rilasso recitando, perché fare il regista significa avere una mole immane di lavoro da tenere sotto controllo. Last but not least, con un altro regista puoi rimetterti sempre in gioco ed anche i ritmi delle prove sono meno stressanti, in quanto devi solo provare la tua parte capendo il personaggio, e non concentrarti sulle scenografie, i tecnici o gli altri attori. E poi, da attore scopri tutto gradualmente, anche con molta sorpresa, ed è quindi un lato lavorativo eccitante. In una struttura come la nostra, dove bisogna anche arrangiarsi, devi essere pronto a fare tutto, quindi anche il regista deve fare la sua parte, magari arrivando a scaricare e caricare dal furgone di scena! E’ faticoso, ma bello, anche se stiamo cercando di riportare l’elemento artistico a livelli ponderanti, ma forse ne dovremo sacrificare altri, visto che sono penalizzati anche i modi stessi di operare delle compagnie e degli attori, complice la crisi: l’artista si troverà sempre più costretto ad essere “omnibus”, magari recitando per una manciata di mesi in una compagnia, poi ad andare ai festival, oppure a elaborare una performance per il teatro dei ragazzi. Ormai sarà sempre più così.

Rifocalizzando l’elemento artistico, come ti prepari per passare dalla parola scritta alla gestualità sul palcoscenico? 

Prima di tutto, dipende se lavori da solo o in gruppo. Mi piace lavorare singolarmente, amo i monologhi preferendo partire da solo, ma in ogni caso non mi pongo delle regole precise. Adoro prepararmi ascoltando musica, quindi un testo o un personaggio molte volte mi vengono ispirati da un brano musicale che ascolto poi spesso, persino in macchina! (ride) Addirittura, mi creo una cartella di file musicali sul pc che possono servirmi allo scopo, cominciando successivamente a provare e a calarmi nella parte; anche in quei momenti non voglio vedere nessuno, devo essere libero di provare quando ho voglia. Dopodiché, inizio a “costruire” servendomi anche di oggetti o costumi e solo allora, dopo un paio di settimane, inizio a parlarne con i colleghi e a mostrare loro quello che vorrei elaborare. Il resto viene da sé: consigli, abbozzi di trama e così via. Diverso è il discorso quando lavoro in gruppo: essendo il più delle volte il regista, per prima cosa cerco di trasmettere a chi lavora con me il clima in cui si svolgerà lo spettacolo. Preferisco però restare un po’ al di fuori, soprattutto nelle prime settimane di lavoro, per osservare come prende forma la messinscena. Una volta dentro il gruppo, chiunque può apporre il proprio contributo, ma sempre sotto la mia supervisione, perché non credo molto alla regia collettiva, mi sa di confusione. Durante gli incontri, non sottolineo solo gli sviluppi di trama, ma spiego anche il rapporto che dovrà nascere tra il testo scritto e la sua sublimazione tramite il gesto scenico; peculiarità, anche queste, che elaboro in disparte.

Il Gaetano regista è consequenziale al Gaetano attore oppure no? 

Sono la stessa persona. Anzi, io sono sempre uguale, sia quando recito che quando faccio la spesa! Concepisco tutto questo come un lavoro d’artigiano: non riesco, come fanno alcuni registi e attori, a isolarmi dal mondo pochi giorni prima di andare in scena, senza uscire, vedere la tv o gli amici. Purtroppo la gestione della struttura non me lo permette, come ho spiegato prima, quindi non posso certo chiudermi in sala prove per un mese; comunque, per me non è un problema, riesco ad essere concentrato sul lavoro anche quando sono immerso nelle faccende quotidiane. Sono molto più nervoso quando svolgo la regia che la recitazione, perché nel recitare l’attore deve fare un forte affidamento alla memoria, deve rammentare le proprie battute e quelle degli altri, ma se oltre ad attore è anche regista, deve tenere a mente una moltitudine di cose, invece recitando solamente c’è più tranquillità d’animo. In ogni caso, ho piena fiducia nei miei collaboratori dunque, se mi trovo a recitare e dirigere in contemporanea, mi affido a loro; tengo a precisare che, dopo le prime due repliche, assimili completamente lo spettacolo ed il suo rodaggio, e i nervi si distendono. Corroboranti sono, ovviamente, la passione e il credere in quello che fai.

Quali sono la tua poetica e il tuo stile?

Credo di avere uno stile, ma non ne sono completamente sicuro, lascio giudicare agli altri; spesso mi dicono che c’è, “Gaetano, si vede che è uno spettacolo tuo!”, ma non so mai se sia un complimento! (ride) Se c’è, vale la risposta alla prima domanda, quella dei modelli e dell’ispirazione, cioè non che nei miei spettacoli si notino dei particolari riconducibili ad essi, sono io che so che c’è uno stile perché ho sicuramente attinto dagli insegnamenti durante la mia permanenza a Milano. Io credo che il mio stile risieda nella capacità di organizzare di attori, perché una buona parte del mio lavoro è stare insieme a loro; cerco di ottenere il meglio dai ragazzi, ed è un concetto che ripeto sempre durante i laboratori che facciamo. Laboratori che, lo dico, non sono i soliti dove io ti insegno e tu impari, sono laboratori in cui viene coltivata, oserei dire fomentata, la creatività di ciascun partecipante. Così funzioniamo come una spugna, assorbiamo tutto quello che gli allievi e gli attori hanno da offrirci, il loro mondo, il loro pensiero, gli interessi artistici e musicali ecc. Forse sento uno stile anche nella mia apertura verso ogni tipo di novità, come ti dicevo poc’anzi, ma cerco soprattutto di non ripetermi, anche se quello che avevo fatto prima era stato un successone oppure ero io a prediligerlo. Credo infine che la mia poetica, se anch’essa esiste, rientri nelle tematiche che più mi interessa esprimere, come nel 2007 – 2009, quando lavorammo con lo spettacolo La nuova colonia, con cui rileggevamo l’omonimo dramma di Pirandello, o quando abbiamo tenuto laboratori teatrali sul Signore delle mosche di William Golding e La fattoria degli animali di George Orwell; tutti testi uniti dalla tematica dell’utopia, come uniti sono Antigone e il Pifferaio magico che trattano entrambi della parola data o dell’impegno individuale verso la collettività. Insomma, ci piacciono i brani che, pur diversi, sono accomunati dalle stesse tematiche. L’unica cosa che mi preme veramente è quello di riuscire a lavorare sempre sul contemporaneo, basta che non sia “archeologia teatrale”; voglio che anche nei testi di secoli fa ci siano sempre riferimenti alla realtà odierna, al rapporto parallelo che c’è tra passato e presente, oltre che tra le tematiche. Sì, forse il mio stile è proprio questo.

Secondo te, a cosa si può paragonare “Spazio Teatro”? 

A un gruppo di lucidi sognatori. Dico così perché noi proviamo sempre a dare il massimo, anche quando i risultati non sono quelli che speravamo; l’immagine di una bottega artigiana è quella che più si avvicina alla nostra associazione, perché qui hanno spazio tutti coloro che vogliono tentare, anche saltuariamente, la strada dell’ “artigianato teatrale” e perché seguiamo spesso il proverbio “Sbagliando s’impara” per ricordarci che non cerchiamo la perfezione assoluta, ma lavoriamo serenamente in ogni settore che riguarda il palcoscenico, migliorando di volta in volta, senza che nessuno ce lo insegni.

Va bene, Gaetano, l’intervista termina qua. Grazie per il tempo che mi hai concesso.

Grazie a te, Filippo. Arrivederci!

Filippo Mammì