Dopo la movimentatissima vacanza europea che, tra colossi di fuoco e mostri d’acqua, aveva caratterizzato nel 2019 il piacevole Spider-man: Far from home, Jon Watts – autore dell’ottimo horror Clown – torna al timone di regia in Spider-man: No way home per continuare a raccontare sul grande schermo il percorso di crescita iniziato dal giovane Peter Parker alias Tom Holland nel guardabile Spider-man: Homecoming, datato 2017.
Il Peter Parker che, come sappiamo, è il supereroe spara-ragnatele Marvel suggerito dal titolo, affiancato dai suoi due migliori amici Ned e MJ, ovvero Jacob Batalon e Zendaya, e alle prese in questo caso con una nuova sfida riguardante la sua esistenza.
Perché non può fare a meno di vedere le proprie responsabilità di proteggi-innocenti mascherato poste in conflitto con la sua vita quotidiana, mettendo a rischio coloro a cui tiene di più, quando la sua identità viene rivelata. Un segreto che cerca di ripristinare chiedendo aiuto al Dottor Strange cui concede nuovamente anima e corpo Benedict Cumberbatch; il quale, però, ricorre ad un incantesimo che finisce per aprire uno squarcio nel mondo odierno liberando i più potenti nemici affrontati dall’Uomo Ragno in qualsiasi universo.
Quindi, ritroviamo in scena Rhys Ifans nei panni del Lizard di The Amazing Spider-man, Jamie Foxx in quelli dell’Electro del sequel e Willem Dafoe, Alfred Molina e Thomas Haden Church che tornano rispettivamente ad incarnare Green Goblin, Doc Ock e Sandman, ovvero i villain della trilogia diretta da Sam Raimi.
Il Doc Ock contro cui, tra l’altro, Parker intraprende uno scontro su un ponte che, insieme al confronto pre-epilogo sulla Statua della libertà, rientra tra le situazioni maggiormente spettacolari di Spider-man: No way home.
Situazioni che, però, immerse nel consueto tripudio di effettistica digitale risultano soltanto fracassone, incapaci di coinvolgere realmente, nel palesarsi, oltretutto, tra le pochissime dedicate all’azione vera e propria nel corso delle quasi due ore e mezza di visione.
Decisamente troppe per un’operazione il cui plot non si basa altro che sul mero pretesto riguardante il futuro spider-maniano e quello del Multiverso; man mano che, sempre più vicina a quella che caratterizza tante serie televisive supereroistiche d’inizio terzo millennio, la narrazione si perde in piuttosto soporifere chiacchiere camuffate di simpatia attraverso il ricorso ad umorismo tipicamente nerd.
Di conseguenza, con ultime due sorprese poste durante e al termine dei titoli di coda e un finale che appare quale momento maggiormente riuscito dell’insieme, Spider-man: No way home riesce con ogni probabilità nell’impresa di conquistarvi solo se avete meno di diciotto anni (forse anche quindici)… altrimenti vi aspetta tanta noia.
Francesco Lomuscio
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