SPINGI E RESPIRA

Il ciclismo è, insieme al calcio, un grande protagonista dello sport italiano. Sinonimo di forza, audacia e perseveranza, ha sostituito completamente il concetto di cavaliere e destriero. Sì, perché i ciclisti sono i veri cavalieri moderni che in groppa alle loro fedeli biciclette – cavalli, insegnano che la vita è come il percorso di una gara: fatica, sudore, salite quasi impossibili e discese distensive, momenti di tristezza ed altri di soddisfazione. Per la prima volta, tutto questo è il fulcro della trama di Spingi e respira, appassionante atto unico di Lorenzo Praticò, secondo appuntamento della stagione di prosa “Rivelazioni”, organizzata al Politeama Siracusa di Reggio Calabria dall’associazione “Orcynus Orca”. Prodotto da “Spazio Teatro”, è andato in scena sabato scorso al Siracusa.
Qui il ciclismo è la vita stessa, è il tentativo di riuscire, di andare avanti, di cadere e rialzarsi e affrontare ogni avversità con tenacia. Ma è anche un incontro/scontro generazionale tra padre e figlio, un assommarsi (parola spesso ripetuta nel corso dello spettacolo) di passioni inespresse, sogni, desideri ed anche amori, visti sotto molteplici aspetti e non a senso unico.


La trama stessa, più che il solito percorso di maturazione, è una strada verso la consapevolezza, la scoperta che i sogni di vittoria non sono un mero egoismo autoreferenziale, ma la voglia di tirare fuori il massimo dalle persone che si amano ed anche un metodo per esorcizzare ricordi dolorosi.
La scena si apre con il protagonista, interpretato con profonda immedesimazione dallo stesso Praticò, che ripercorre (metaforicamente e realmente) tutte le strade affrontate pedalando insieme al padre e gli insegnamenti, a volte saggi altre volte duri, che il genitore gli impartisce con un rigore che sfiora l’ossessione. Ossessioni perfettamente sintetizzate dalla scenografia semplice ma efficacissima: un grande schermo bianco, una bicicletta da corsa parcheggiata in un angolo, una luce rossa e liquida che lambisce l’uomo, anch’egli vestito quasi completamente di rosso. Un rosso che evoca fuoco, passione e ricordi brucianti di un passato che torna prepotente; ricordi che delineano una mente segnata da una inattesa scoperta.
Ma all’inizio lo spettatore crede che la vita passata del protagonista sia stata un inferno: l’uomo parte con un monologo, alternando italiano e dialetto reggino e simulando una pedalata, in cui rievoca il padre, ma non racconta tecnicamente, instaura un dialogo immaginario con la figura paterna, mettendo in luce il suo carattere apparentemente autoritario. Il tutto mentre si ascoltano voci di vecchie radiocronache di giri d’Italia e suoni campestri e di montagna, che a volte vengono volutamente aumentati fin quasi a coprire le parole di Praticò.


Dalle parole dell’uomo emerge l’ossessione per il tempo che scorre e per i consigli paterni sul ciclismo ed anche su come comportarsi con le donne; ma, gradualmente, quello che sembrava un ricordo triste si trasforma nella dimostrazione d’affetto reciproco tra un padre e un figlio uniti dalla stessa passione per la bicicletta e dagli stessi sogni di vittoria che sfociano improvvisamente nella rievocazione di un grande protagonista del ciclismo italiano, il toscano Fiorenzo Magni (1920 – 2012), di cui passano sullo schermo bianco degli spezzoni di repertorio, un commosso omaggio verso il grande “Leone delle Fiandre” che non molla mai, neppure quando vince (e vinse ben tre giri d’Italia) e neanche se perde, e lotta, vero esempio della vita che non si piega di fronte a nessuna difficoltà. Ed è proprio la comparsa di Magni il preambolo della rivelazione che la madre del protagonista fa al figlio e che getta una luce chiarificatrice su quanto raccontato prima: con lo stile del cantastorie, scopriamo che la passione ossessiva del padre per il ciclismo è solo il ricordo struggente per un amore perduto, amore per una donna che nel ciclismo diventa amore filiale e che racconta la vita come un complesso sistema di salite e discese, una somma di molte esperienze e altrettante sensazioni. L’importante, tra salire e scendere, è appunto spingere e successivamente riprendere fiato.

Filippo Mammì