Star trek, l’uomo invisibile francese di Blind spot, la creatura marina di Sea fever e lo splatter di The curse of Valburga al Trieste Science+Fiction Festival

Prima di un pomeriggio apertosi con il futuristico cinese Last sunrise di Wen Ren, ambientato in un mondo che, basato sull’energia solare, precipita nel caos quando il sole scompare improvvisamente facendo scendere la temperatura sotto lo zero ed esaurire l’ossigeno, il 1 Novembre 2019 del Trieste Science+Fiction Festival è iniziato nella mattinata all’insegna della nostalgia, grazie alla proiezione di Star trek – Il film, diretto nel 1979 dal compianto maestro della Settima arte Robert Wise.

Al di là di Moon di Duncan Jones, che in seconda serata è stato riproposto con sonorizzazione live a cura di Luca Maria Baldini, il resto della giornata si è svolto in favore delle novità provenienti dalla cinematografia europea.

Infatti, da un lato il polacco I am Ren di Potr Ryczo ha portato la storia di una donna che, rivelando al marito e al figlio adottivo la propria natura di androide che ha avuto un grave malfunzionamento, diventa metafora di temi universali quali l’amore, il tradimento e le dissociazioni interiori che colpiscono molti, dall’altro la co-produzione tra Francia e Belgio Breakpoint. A counter history of progress di Jean-Robert Viallet ha ipotizzato come sarebbe stata la Terra se alcuni sviluppi dell’era del carbone e del petrolio – che tanto impatto hanno avuto sull’ambiente – si fossero evitati in favore di altre strade.

E dalla Francia è arrivato anche Blind spot (foto qui sopra), che, moderna rivisitazione della sempreverde figura dell’uomo invisibile, punta tutt’altro che al facile intrattenimento ed è perfettamente riassumibile in questa lunga dichiarazione dei suoi due autori Pierre Trividic e Patrick Mario Bernard: “Il nostro protagonista si sente perso, fra le altre cose. La maniera più semplice era fare dell’invisibilità un dono naturale, senza offrire alcuna spiegazione. Una creatura che perde il controllo, come tante altre. L’intera storia è ambientata nel mondo di oggi. Dominick deve guadagnarsi da vivere: ha un lavoro, un appartamento in affitto. È più vicino all’accoppiata Peter Parker/Sider-man, che vende mezza pizza per sopravvivere, piuttosto che a Bruce Wayne/Batman, che vive in un maniero. Dominick sembra una persona ordinaria, non un supereroe. Non sa cosa farsene del suo potere. Essere in grado di diventare invisibile può causare dipendenza? Dominick, pur sfruttando il suo potere, ne soffre. E soffre ancora di più perché è un potere che sta andando fuori controllo. Per noi era un modo innanzitutto di esplorare questo fenomeno facendoci delle domande concrete. Come ci si sente esattamente ad essere invisibile? Quando sei invisibile, i tuoi vestiti restano visibili: siamo davvero invisibili solo quando siamo completamente nudi. L’invisibilità, perciò, ha a che fare col corpo; e il corpo è vulnerabile. L’invisibilità è, quindi, vulnerabilità”.

Come pure punta tutt’altro che al facile intrattenimento Sea fever (foto qui sopra) di Neasa Hardiman, co-produzione tra Irlanda, Svezia e Belgio che, se sulla carta, con il suo plot riguardante un vecchio peschereccio che viene avviluppato in pieno oceano Atlantico da una misteriosa creatura destinata a diffondere una strana infezione tra gli occupanti dell’equipaggio, spinge a pensare al filone horror acquatico che ci regalò Creatura degli abissi di Sean S. Cunningham e Leviathan di George Pan Cosmatos, nei fatti è molto più improntato sull’allegoria.

Perché, in maniera evidente, mentre la protagonista Siobhán alias Hermione Corfield si presenta in qualità di studentessa di biologia marina che si nasconde dietro la scienza a causa delle sue difficoltà a socializzare, la creatura in questione non si limita a fare da mostro da temere; non a caso, la regista precisa: “Sea fever trova la sua origine nell’antica tradizione europea del cinema espressionista, in cui la metafora centrale del film fa guardare alle problematiche più serie del nostro presente attraverso la lente di una storia avvincente. Una delle questioni più eticamente rilevanti che emergono nella storia è il conflitto tra bisogno individuale e universale. Il film è pervaso da una dolorosa consapevolezza di quanto fragile sia il nostro ecosistema. Ma sottolinea anche quanto i bisogni economici basilari obblighino le persone ad agire in conflitto con le istanze ecologiche oggi così attuali”.

Quindi, chi desiderava, invece, l’horror puro, ha dovuto attendere il suggestivo e non disprezzabile Midday demons dell’italiana Rossella De Venuto, nato come Controra e a base di oscuri passati e sinistre presenze, e lo sloveno The curse of Valburga (foto qui sopra), a firma del Tomaž Gorkič che già si era occupato nel 2015 del violento Idila.

Un’opera seconda atta a riconfermare la propensione del cineasta verso lo slasher proto-Wrong turn, stavolta raccontando – non senza humour – di alcuni satanisti svedesi, una coppia di tedeschi bevitori di birra, dei francesi dark, due attrici hard e il loro produttore russo truffaldinamente attirati in una visita guidata in un maniero locale da due fratelli che hanno inventato una leggenda senza immaginare, però, che il posto ne abbia davvero una macabra e terrificante. Giusto una mezz’ora di tempo per far conoscenza dei diversi personaggi e si comincia a sguazzare in mezzo a seghe circolari in pieno cranio, decapitazioni, tagliole in agguato e corpi infilzati.

 

Francesco Lomuscio