Stasera in tv su Rai Storia alle 21,10 Audace colpo dei soliti ignoti, un film del 1959 diretto da Nanni Loy. Il film è il seguito del precedente I soliti ignoti di Mario Monicelli e risente della diversa regia di Nanni Loy più scherzosa e leggera. La pellicola risulta molto gradevole per il ritmo veloce degli avvenimenti, ma soprattutto per l’interpretazione dei grandi caratteristi che danno il loro meglio nelle parti secondarie loro assegnate. In rilievo, al solito, la figura di Vittorio Gassman ancora una volta mattatore in un ruolo comico. La colonna sonora firmata da Piero Umiliani, imperniata su un cool jazz interpretato da Chet Baker, contribuisce proprio a sottolineare l’ironico accostamento al genere poliziesco americano. Con Vittorio Gassman, Claudia Cardinale, Nino Manfredi, Gastone Moschin, Riccardo Garrone, Renato Salvatori, Carlo Pisacane, Tiberio Murgia.
Trama
Peppe e alcuni suoi compari romani, ladruncoli di mestiere, vengono contattati da un “collega” milanese per un colpo da effettuare nel capoluogo lombardo. Si tratta di svaligiare il furgone che, ogni domenica, porta al sicuro i quattrini delle giocate del Totocalcio. Quando la banda arriva a Milano, il capo viene arrestato e così i ladruncoli devono cavarsela da soli. Nonostante tutto il colpo riesce e la valigia con il malloppo prende la via di Roma. Qui la banda si disperde e anche il denaro comincia a passare di mano in mano finendo in un ospedale.
“Dopo il periodo del neorealismo, gli anni chiave della pellicola italiana furono senza dubbio la fine degli anni cinquanta/inizio sessanta e la prima parte dei settanta. Al primo gruppo possiamo associare lo splendido I Soliti Ignoti di Mario Monicelli (1958) e il suo brillante seguito L’audace colpo dei soliti ignoti (1959). Ora dietro la macchina da presa c’era finito il buon Nanni Loy, per farla breve quello che ha introdotto la candid camera in Italia. E se il film di Monicelli “odorava” ancora molto di neorealismo, questo sequel a mio parere comincia ad acquistare anche nuovi elementi, tendendo verso una più evidente forma-commedia, aprendo così a quella che qualche anno dopo sarà una formula collaudata per moltissimi film italiani.
I personaggi della storia sono sempre gli stessi: Gassman, Salvatori, “Capannelle”, “Ferribotte” e Claudia Cardinale, ad eccezione purtroppo di Marcello Mastroianni, che nel primo film era stato grandioso, e di Totò, che aveva impersonato il grandissimo Dante Cruciani. Tuttavia una ventata di novità è portata dall’ingresso di Nino Manfredi, qui meccanico di periferia, che sarà determinante nella trama del film e nelle gag. Perché proprio quest’ultime, le gag, la fanno da padrone; e se nel complesso qualcosa sembra calato rispetto al primo episodio, tuttavia l’incalzare continuo delle battute e delle invenzioni e la perfetta organizzazione dei tempi e dei dialoghi non fanno rimpiangere nulla. Il film risulta eccezionalmente vivo e resta uno degli episodi italiani migliori di sempre per il suo genere. La macchina da presa appare forse meno interessata all’elemento “realista”, ma fa il suo dovere, immergendo ovviamente il tutto in un collaudato mondo di bianco e nero. In effetti il realismo viene da sé in questi film: le espressioni delle comparse, i paesaggi di periferia, le reali condizioni di povertà dei quartieri, le vecchie zone di Roma che oggi sono completamente diverse (ho ben presente dove si trovava la casa di Capannelle, vicino alla odierna stazione tuscolana). È questo il bello del vecchio cinema italiano, che la vita del paese è stata messa su pellicola, immersa in situazioni reali di personaggi “reali”. E il fatto è che la “scintilla magica” si è accesa da sè. Come diceva giustamente Ennio Martucci: è un cinema che “si sente fin dentro la pelle”.
La trama non è arzigogolata: c’è semplicemente che i nostri eroi non hanno un soldo, come sempre, e una rapina alla macchina che trasporta i soldi del totocalcio sembra davvero una soluzione perfetta. C’è che Mario e Carmela devono sposarsi e Ferribotte li tiene comunque d’occhio, ammonendoli in continuazione; c’è che Capannelle esagera sempre col cibo nelle trattorie e poi non paga; c’è che Gassman ha scaricato la servetta del primo episodio e ora si fa di nuovo convincere a fare un lavoretto poco pulito; resta solo da contattare i vecchi compagni di sventure. E queste sventure arriveranno puntuali una dopo l’altra, in tutti gli scenari in cui la storia è ambientata: Roma, Milano, stazioni del treno, corse in auto e, nel finale, in piazza S. Giovanni Bosco vicino alla Tuscolana. Nel 1960 lì c’erano ancora i “pecorari” che giravano con le pecore, come si vede nel film. Da ricordare infine scene memorabili come la lettura di Gassman del menù del pranzo di Capannelle; la scoperta leggendo il giornale che forse possono essere rintracciati dalla polizia; la scena epocale di Gassman alla fine del film sulle strisce pedonali. Tutto questo è stato il cinema italiano, che ha respirato e vissuto a contatto con la gente; il cinema che, come disse Ennio Martucci: “… è casa nostra. ” E che ancora oggi sta navigando sotto qualche ponte. O almeno ci prova. Incrociamo le dita”.
(Debaser)
Luca Biscontini
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