Stasera in tv Blade Runner 2049 Denis Villeneuve, con Ryan Gosling e Harrison Ford

Stasera in tv su Rai Movie alle 21,10, Blade Runner 2049, un film del 2017 diretto da Denis Villeneuve. Il film è il sequel di Blade Runner, diretto nel 1982 da Ridley Scott. La sceneggiatura, scritta da Hampton Fancher e Michael Green, è basata sui personaggi del romanzo di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?). Protagonisti della pellicola sono Ryan Gosling, che interpreta il ruolo dell’agente K, e Harrison Ford, che riprende il ruolo di Rick Deckard. Fanno parte del cast anche Robin Wright, Dave Bautista, Sylvia Hoeks, Ana de Armas e Jared Leto.

Trama
2049. Incaricato di recuperare un vecchio modello di replicante, l’ufficiale K (Ryan Gosling), un blade runner appartenente alla polizia di Los Angeles, riporta in luce un segreto a lungo sepolto che ha il potenziale di far precipitare nel caos ciò che è rimasto della società. La scoperta lo porta a dover scovare Rick Deckard (Harrison Ford), un ex blade runner scomparso da trent’anni.

Chi è, cos’è un Blade Runner? Una ‘lama che corre’, qualcosa di affilato, tagliente, che cerca un corpo in cui penetrare, per danneggiarlo, ferirlo, fermarlo e, infine, mutuando il gergo introdotto dal capolavoro di Ridley Scott, ‘ritirarlo’. I ‘lavori in pelle’, i replicanti, sono a tutti gli effetti corpi, che, sebbene assai più potenti di quelli umani, sono comunque affetti dalla passione, dalla possibilità, cioè, di subire gli eventi, essendo anch’essi esposti alle intemperie del destino. Prendendo ancora una volta spunto dai personaggi de Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?) di Philip K. Dick, Hampton Fancher (lo sceneggiatore), stavolta affiancato da Michael Green, sviluppa eroicamente le profonde tematiche filosofiche contenute nel film del 1982, le quali, com’è noto, davano adito a diversi strati di lettura; per tale motivo prova a immaginare una riscossa delle creature nei confronti del creatore, o quanto meno, una rivolta che consenta agli oppressi di conquistare la libertà, di sottrarsi al comando di chi li domina (in continuità, dunque, col precedente).

Nel nuovo Blade Runner, targato Denis Villeneuve, il rapporto creatore-creatura si slega completamente da qual si voglia legame dialettico, laddove tra l’uno e l’altro termine cadono definitivamente le distinzioni: s’instaura una sorta di indiscernibilità che inaugura un piano d’immanenza in cui vengono rinnovate completamente le coordinate dello scontro, e, quindi, vengono anche fornite le premesse per la sua definitiva cessazione. Non più la tirannia del rapporto causa-effetto, ma una reversibilità che annulla ogni precedenza logica-ontologica, giacché un Evento (la soprannaturale gravidanza di una replicante) interviene a scompaginare la realtà, ponendosi come un ‘eccesso’ che contraddice, contrasta e infine fa decadere i rapporti di potere normalmente operativi (che già erano stati l’oggetto del precedente lungometraggio). Non c’è, però, nel film di Villeneuve il temuto (da Pasolini) cannibalismo dei figli nei confronti del padre, piuttosto – ne siamo persuasi – una riappacificazione con esso, una riconciliazione che fa collassare il teatro edipico, iattura che da sempre e funestamente incombe. Lo schiavo spezza le catene, ma anziché scagliarsi contro il suo padrone lo abbraccia, ricambiato (si spera).

Queste, evidentemente, sono solo alcune delle suggestioni provocate dalla visione del film più atteso dell’anno, che mette in scena un possibile sviluppo della riflessione cominciata dal leggendario capostipite del 1982: Blade Runner, oltre ad aver riformato significativamente l’iconografia cinematografica, produsse un repentino, formidabile e impagabile mutamento dell’immaginario. Ma fare paragoni tra nuovo e vecchio capitolo è un’operazione sostanzialmente inutile, poiché il contesto attuale ha riformulato completamente i parametri di riferimento per qualunque tipo di valutazione, impedendo di poter porre in essere un confronto diretto ed efficace tra l’uno e l’altro.

Villeneuve azzarda una sintesi, cercando di far confluire un termine nell’altro (creatore-creatura), dando corpo a un ibrido (la figlia della replicante confinata in una gabbia di vetro a causa di un sistema immunitario inefficiente) dotato della straordinaria capacità di produrre ricordi ‘quasi’ reali, che viene investito del ruolo di condottiero degli insorti. Permane l’incertezza sulla reale natura del protagonista (un Ryan Gosling con la faccia di pietra), che reitera un dubbio, il quale, seppur alla fine dissipato, risuona non poco con quello che aleggiava sull’identità di Rick Deckard (Harrison Ford). Poi, mutuando in parte le suggestioni evocate da Her di Spike Jonze, è stata architettata la poeticissima storia sentimentale tra l’agente K/Joe (Gosling) e l’ologramma Joi (Ana de Armas, bella e commovente), e questo legame, quantunque con molte e significative differenze, ricorda anche il travagliato, struggente amore tra il Kris Kelvin e la Hari del Solaris di Andrej Tarkovskij (poi successivamente ed egregiamente rielaborato nel rifacimento del mai troppo elogiato Steven Soderbergh). La sequenza in cui vediamo Joi provare per la prima volta la sensazione delle gocce di pioggia sulla pelle è un momento di cinema prezioso, che si radica profondamente nell’animo dello spettatore. Quasi tre ore di durata per un film visionario, potente e commovente, che non mancherà di lasciare un’indelebile traccia nella memoria di chi saprà accostarvisi senza pregiudiziali valutazioni comparative con il film del 1982.

 

 

Luca Biscontini