Stasera in tv Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini

Stasera in tv su La7d alle 00,30 (ma disponibile anche su YouTube) Comizi d’amore, un documentario del 1965 diretto da Pier Paolo Pasolini. Nel 1963 Pier Paolo Pasolini e il produttore Alfredo Bini girano l’Italia per trovare luoghi e volti per il nuovo film del regista friulano, il Vangelo secondo Matteo. Ma Pasolini da un po’ di tempo ha un chiodo fisso: conoscere le opinioni degli italiani sulla sessualità, l’amore e il buon costume e vedere come sia cambiata negli ultimi anni la morale del suo paese. All’interno del film ci sono anche le opinioni autorevoli di “amici” di Pasolini come Alberto Moravia, Cesare Musatti, Adele Cambria, Camilla Cederna, Giuseppe Ungaretti e Oriana Fallaci. Prodotto da Alfredo, con il soggetto e la sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini, la fotografia di Mario Bernardo e Tonino Delli Colli e il montaggio di Nino Baragli.

Trama
Nel 1963, tra Marzo e Novembre, Pasolini filmò le inter  viste e le riprese del documentario Comizi d’amore, titolo definitivo di uno straordinario esempio di cinema d’inchiesta per uno spaccato sul pensiero e i pregiudizi degli italiani in tema di sessualità. Il lavoro portò il regista in diversi ambienti e situazioni sociali e lungo tutto lo stivale, per un sondaggio “antropologico” che soprattutto nel Sud Italia trovò sacche resistenti di arcaica autenticità popolare.

“Caro Alfredo, come sempre la «realtà» è diversa dalle intenzioni. Nel caso di un film o di un’opera letteraria, la «realtà» è la sua concretezza stilistica. Ebbene, per il film dal titolo (provvisorio!) Cento paia di buoi, l’atto del girare ha costituito (con mia parziale sorpresa, dato che era il mio primo lavoro di carattere documentario) un lento stravolgimento della mia «idea stilistica del film». Mi sono trovato davanti a del materiale nuovo, pieno di straripante concretezza visiva. In che senso il film è diventato un altro? Direi soprattutto nel senso che i protagonisti non sono più «color che sanno», come chiamavo scherzosamente me, Moravia, Musatti e gli altri dotti che avrebbero dovuto spiegare al pubblico i problemi della vita sessuale; ma, protagonista, è diventato il pubblico, cioè le centinaia di interrogati, con Arriflex e registratore, in tutta l’Italia. La loro vivezza, la loro spettacolare fisicità, la loro antipatia, la loro simpatia, i loro strafalcioni, i loro candori, le loro saggezze, come dire, la loro «italianità», hanno preso prepotentemente il posto riservato alla nostra premura didascalica, e si sono presentatati sullo schermo «come ciò che importa».

Dividerò le interviste collettive in quattro-cinque capitoli: I. sul sesso in generale, sua importanza, suo peso, suo significato ecc.; II. «Scandaloso», sul problema dello «scandalo», l’irrazionalità dello scandalizzarsi e la necessità di porsi davanti al problema senza questo arcaico inalberarsi della ragione; III. «La vera Italia», sul problema dei rapporti tra sesso e società – matrimonio, onore sessuale, divorzio, controllo delle nascite ecc. – da cui dovrebbe saltar fuori una immagine dell’Italia violentemente inedita; IV. «Schifo o pietà», sul problema della anormalità sessuale; V. «Dal basso e dal profondo», sul problema della prostituzione – e quindi della miseria, del contrasto fra Nord e Sud, e indirettamente, dell’autentica vita sessuale dei proletariati e dei sottoproletariati italiani. Quasi piloni di questi capitoli-arcate, dovrebbero essere le interviste con Moravia e Musatti: momenti di riflessione e sistemazione del caos. Interviste accompagnate dalla musica del Don Giovanni di Mozart. Perciò ho dato al film un nuovo titolo: «IL DON GIOVANNI»”.
(Lettera di Pier Paolo Pasolini al produttore Alfredo Bini)

“Come nascono i bambini? Li porta la cicogna, da un fiore, li manda il buon dio, o arrivano con lo zio calabrese. Guardate il volto di questi ragazzini, invece: non danno affatto l’impressione di credere a ciò che dicono. Con sorrisi, silenzi, un tono lontano, sguardi che fuggono a destra e sinistra, le risposte a tali domande da adulti possiedono una perfida docilità; affermano il diritto di tenere per sé ciò che si preferisce sussurrare. Dire ‘la cicogna’ è un modo per prendersi gioco dei grandi, per rendergli la loro stessa moneta falsa; è il segno ironico e impaziente del fatto che il problema non avanzerà di un solo passo, che gli adulti sono indiscreti, che non entreranno a far parte del cerchio, e che il bambino continuerà a raccontarsi da solo il ‘resto’. Così comincia il film di Pasolini. Enquête sur la sexualité (‘Inchiesta sulla sessualità’) è una traduzione assai strana per Comizi d’amore: comizi, riunioni o forse dibattiti d’amore. È il gioco millenario del ‘banchetto’, ma a cielo aperto sulle spiagge e sui ponti, all’angolo delle strade, con bambini che giocano a palla, con ragazzi che gironzolano, con donne che si annoiano al mare, con prostitute che attendono il cliente su un viale, o con operai che escono dalla fabbrica.

Molto distanti dal confessionale, molto distanti anche da quelle inchieste in cui, con la garanzia della discrezione, si indagano i segreti più intimi, queste sono delle Interviste di strada sull’amore. Dopo tutto, la strada è la forma più spontanea di convivialità mediterranea. Al gruppo che passeggia o prende il sole, Pasolini tende il suo microfono come di sfuggita: all’improvviso fa una domanda sull’‘amore’, su quel terreno incerto in cui si incrociano il sesso, la coppia, il piacere, la famiglia, il fidanzamento con i suoi costumi, la prostituzione con le sue tariffe. Qualcuno si decide, risponde esitando un poco, prende coraggio, parla per gli altri; si avvicinano, approvano o borbottano, le braccia sulle spalle, volto contro volto: le risa, la tenerezza, un po’ di febbre circolano rapidamente tra quei corpi che si ammassano o si sfiorano. Corpi che parlano di loro stessi con tanto maggior ritegno e distanza quanto più vivo e caldo è il contatto: gli adulti parlano sovrapponendosi e discorrono, i giovani parlano rapidamente e si intrecciano. Pasolini l’intervistatore sfuma: Pasolini il regista guarda con le orecchie spalancate. Non si può apprezzare il documento se ci si interessa di più a ciò che viene detto rispetto al mistero che non viene pronunciato”.
(Michel Foucault)

 

 

Luca Biscontini