Stasera in tv Fight Club di David Fincher, con Brad Pitt ed Edward Norton

Stasera in tv su Rai 4 alle 23,30 Fight Club, un film del 1999 diretto da David Fincher, basato sull’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk. È stato sceneggiato da Jim Uhls e prodotto da Art Linson e Arnon Milchan. Il film offre una visione altamente critica del consumismo e dell’alienazione dell’uomo moderno. Nel 2008 è stato inserito al decimo posto nella classifica Lista dei 500 migliori film della storia secondo Empire. L’idea su cui basa il romanzo omonimo di Chuck Palahniuk, da cui Fight Club è tratto, venne allo scrittore una volta in cui, durante una vacanza in campeggio, dopo essersi lamentato per il volume della radio dei vicini, finì per essere malmenato, rimediando parecchi lividi in viso. Il giorno dopo però al lavoro nessuno commentò il suo aspetto, preferendo scivolare su domande e discorsi rituali per non entrare nel coinvolgimento che una domanda più diretta avrebbe determinato. Fu indagando questa sorta di reticenza sociale che a Palahniuk venne poi l’idea del romanzo. Con Brad Pitt, Edward Norton, Helena Bonham Carter, Jared Leto, Meat Loaf, Zach Grenier.

Trama
Un ragazzo non riesce più a dormire. Che fare? Presenziare a tutti i corsi terapeutici anti-malattie: lì un pianto lo si rimedia sempre. Poi, nella sua vita, inciampano Marla e Tyler, una donna e un uomo alla deriva, lei alla ricerca di qualcuno o qualcosa che la smuova, lui organizzatore di un Fight Club dove pestarsi a sangue per sentirsi vivi e importanti.

“Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca”.

“Il cinema come macchina ludica, come scatola delle meraviglie che contiene scomparti segreti, doppi fondi, sistemi di apertura speciali. E il regista come artista-artigiano che ne esibisce divertito i meccanismi costruendo davanti a noi un modello che replica, in serie. Da Seven in poi il marchio di fabbrica di Fincher è riconoscibilissimo, forse troppo, mai fine al compiacimento però, quanto piuttosto alla narrazione e ai personaggi resi chiaroscurali da una serie di scelte espressive che mettono in discussione la matrice stessa delle immagini. Dati, fatti o persone possono essere altro; la nostra percezione può essere distante dalla realtà, se mai ne esiste una soltanto, o può essere condizionata da inserti millesimali invisibili agli occhi.

Come John Doe, il protagonista (Edward Norton) è un uomo qualunque con un impiego modesto e uno stile di vita conforme ai nomi degli oggetti del catalogo Ikea – “una volta leggevamo pornografia, ora siamo passati ad arredomania”. Un’identità neutra la sua, e potenzialmente multipla, come i vari Rupert, Lenny o Travis con cui si presenta ai gruppi d’ascolto delle malattie più disparate per tentare di curarsi l’insonnia latente. La fisicità di Norton è perfetta per il ruolo, ancor più se posta a confronto con l’ideale di bellezza scolpita che Pitt porta sullo schermo con grande sicurezza, una proiezione dei nostri desideri e istinti più profondi e anche più perversi. D’altro canto Norton è sorprendente nella capacità di cambiare ogni volta adattandosi al personaggio: l’anno precedente aveva interpretato il muscoloso naziskin Vinyard, altro esempio in quel caso tragico di una generazione. Che lì istigava alla violenza, qui ne fa lo strumento grottesco d’azione – la vendetta del protagonista contro il suo capo a colpi di pugni ed estorsioni.

Fincher intercetta il potenziale del romanzo di Palahniuk che alla sua uscita non ebbe molto successo ed elabora con l’aiuto dello sceneggiatore Jim Uhls quello che per molti sarà un fenomeno – ecco lo sguardo sempre umano, e di fatto poco mentale, di un autore che sente il presente (anche quando guarda indietro). Perché a essere messa in scena è un’utopia, una rivoluzione dal basso sostenuta da una rete sociale di insospettabili (persino gli agenti di polizia) che vuole ridestare le coscienze, buttare giù le fondamenta del consumismo e ripartire da zero. Ma prima di colpire i grandi centri del potere la trasformazione deve passare dal corpo che viene contuso, dissanguato, svestito, segnato, fino a decomporsi quasi e a coincidere con le macerie degli edifici che i due innamorati – Bonham Carter è una creatura già burtoniana – guardano dall’alto di un grattacielo tra esplosioni che potrebbero essere fuochi d’artificio e il pezzo dei Pixies che incornicia una delle storie d’amore più strambe e romantiche del cinema. È in momenti come questo che la forma illusoria e ingannevole dei film di Fincher viene sostanziata e si riconosce una sensibilità moderna di cui ci sentiamo veramente partecipi”.
(Marco Bolsi, Sentieri Selvaggi, 5 Giugno 2021)

 

 

Luca Biscontini