Stasera in tv Il mago di Oz di Victor Fleming, con Judy Garland

Stasera in tv alle 23,30 su Warner TV (canale 37 DT) Il mago di Oz, un film del 1939 diretto da Victor Fleming. Il film è ispirato a Il meraviglioso mago di Oz, il primo dei quattordici libri di Oz dello scrittore statunitense L. Frank Baum. Regista della trasposizione cinematografica è Victor Fleming, noto anche per Via col vento, uscito nello stesso anno, mentre la protagonista (Dorothy Gale) è Judy Garland, una delle attrici di maggior successo dell’epoca. Il film ha ricevuto molti riconoscimenti ed è considerato un classico della storia del cinema. La nota canzone Over the Rainbow (musica di Harold Arlen, parole di E.Y. Harburg e interpretata dalla protagonista Judy Garland) è stata successivamente reinterpretata da molti artisti e usata in diversi ambiti. Nel marzo 2011 debutta al London Palladium di Londra il musical The Wizard of Oz, che riutilizza le canzoni di questo film più alcune composte appositamente da Andrew Lloyd Webber. Con Judy Garland, Frank Morgan, Ray Bolger, Bert Lahr, Jack Haley, Billie Burke, Margaret Hamilton, Charley Grapewin, Pat Walshe

Trama
Dal celebre racconto di Frank Baum, la prodigiosa avventura della giovane Dorothy che finisce nel mondo di Oz per salvare il suo cane Totò. Nella ricerca del Mago che regna sul paese, la bimba trova la compagnia dello Spaventapasseri, dell’Uomo di latta e del Leone pauroso.

“Dalla soglia della casa sopravvissuta alla violenza del tornado, il Mondo di Oz si squaderna in un tripudio di verdi praticelli, placide ninfee, un ponticello lezioso, dolci montagne sul fondo. La macchina da presa accompagna lo stupore con un solenne movimento. Dorothy ha senz’altro ragione: “Toto, ho l’impressione che non siamo più nel Kansas”. L’abbiamo visto, il Kansas, nella prima inquadratura del Mago di Oz: una strada sterrata, circondata da un niente in bianco e nero, che conduce verso un orizzonte immobile e piattissimo. Anche l’autore delle fortunatissime pagine da cui il film è tratto, L. Frank Baum, in poche righe, ci fa intendere che lì tutto è grigio, pure le gote della zia. Non ci è dato sapere se Dorothy sia l’unico personaggio variopinto, di certo è la sola a poter ambire a un paesaggio diverso. A questo riguardo, è ancor più chiaro il film: Somewhere over the Rainbow suona come l’invocazione a un mondo che irradi garrulo Technicolor. A Oz i colori sono troppo chiassosi, lussureggianti, acidi per sembrarci veri, così come i matte paintings che fingono immensi paesaggi in lontananza. Ci vuol poco, oggi, a definirli camp. Eppure il trucco funziona e il pubblico può condividere l’estasi di Dorothy, per quanto anche all’epoca non fosse nuovo né ai deliri scenografici del musical né al fulgore del Technicolor”.
(Andrea Meneghelli, Enciclopedia del Cinema Treccani, 2004)

“Gli anni Trenta si chiudono con due film che il caso vuole girati dallo stesso regista (Victor Fleming) per la stessa casa produttrice (la MGM) nello stesso anno (il 1939): Il mago di Oz e Via col vento. Sono superproduzioni (soprattutto il secondo) che vanno lette in una chiave storica. Non tanto perché nella vicenda di Dorothy e dei suoi amici può essere adombrata quella dell’America della Depressione e della sua vittoria, né perché quella di Scarlett dichiari espressamente una volontà di sopravvivenza esemplare (la forza della ragazza e il continuo riferimento alla terra); quanto perché queste due sfarzose produzioni segnano l’addio sia al cinema di impegno sociale (peraltro già storicamente esaurito dal 1934), sia a quello di (supposto) disimpegno legato a standard di genere leggero, costruito su modelli complessi e precisi ma sempre obbedienti a regole collaudatissime, e soprattutto attento a calibrare dosi d’assurdità e di realtà in parti equilibrate. Il mago di Oz e Via col vento sono due fiabe: ambedue riguardano qualcosa che non esisteva o che non esisteva più (o che non era mai esistito). Ambedue celebravano il coraggio e la simpatica testardaggine di chi non si rassegna a quello che sembra essere il destino. Ambedue esibivano un colorismo grandioso, una scenografia vivace, costumi sgargianti, proponendo uno spettacolo di dimensioni non comuni. In un certo senso, questo era l’addio al triste decennio, una rivalsa a suon di musiche e di luce contro la cupezza dei primi anni di buio e frastuono. In fondo ambedue le pellicole inscenano, sia pure indirettamente, due miti agrari. Oz è un reame fatto di prati e di fiori, e il Sud di Scarlett – per quanto bistrattato e drammaticamente ferito – è ancora una terra capace di fornire agiatezza. Ambedue fantasie di “ricostruzione”, le pellicole non sono però tanto riassuntive di un percorso storico quanto idealmente rappresentative di uno spirito che ormai non riguarda più il passato ma che anzi se ne sbarazza con un ritorno gioioso al mondo amabile e noto verso il tempo felice che lo precedeva (“Non c’è nessun posto come casa mia!”) o con una pragmatica dichiarazione piena di concretezza e praticità (“Ci penserò domani!”). Il mago di Oz e Via col vento sono per così dire il dramma satiresco del ciclo tragico fornito dalla Depressione: il primo in modo evidente, il secondo con quella sua capacità di ribaltare in comicità e leggerezza anche indiscutibili tragedie sia storiche che familiari (si pensi solo alla caratterizzazione dei personaggi neri o delle vecchie signore meridionali). La rivolta contro il destino si giustifica in un mondo in cui il destino è tragico. Ci vuole una sentenza come quella di Zeus perché Prometeo trovi la forza di alimentare la sua hybris”.
(Franco La Polla, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, Il Castoro, 2004)

 

 

Luca Biscontini