Stasera in tv su La7 alle 21,15 Il petroliere (There Will Be Blood), un film del 2007 diretto da Paul Thomas Anderson, liberamente tratto dal romanzo Petrolio! di Upton Sinclair. Il film è dedicato alla memoria di Robert Altman. Pellicola che permise ad Anderson di consacrarsi tra i migliori registi della sua generazione, Il petroliere valse il Premio Oscar per il miglior attore a Daniel Day-Lewis, che nel 2008 ottenne così la sua seconda vittoria, e venne candidato per un totale di otto statuette, ottenendo anche quella per la miglior fotografia. È considerato uno dei migliori film degli anni 2000. Il film si aggiudicò anche l’Orso d’Argento per la miglior regia. Con Daniel Day-Lewis, Paul Dano, Kevin J. O’Connor, Ciarán Hinds, Dillon Freasier, Russell Harvard, Randall Carver, Kevin Breznahan.
Trama
California, inizio del XX secolo: raccogliendo una dritta dell’enigmatico Eli, il modesto minatore Daniel Plainview si arricchisce in breve tempo. Parallelamente, il suo sistema di valori – e quello dell’intera comunità – viene intaccato dalla corruzione e dall’immiserimento morale.
“Il regista Paul Thomas Anderson (quello di Boogie Nights, di Magnolia e del più recente, e più deludente, Ubriaco d’amore) ha sfrondato il romanzo Petrolio! di Upton Sinclair di tutta la parte politica sullo scandalo Harding e dell’umanitarismo socialista a favore dei lavoratori per concentrarsi sulla figura di Plainview. In questo modo lo spirito epico di un periodo di svolta per la civiltà americana, con l’innovazione modernizzatrice che passa attraverso il trivellamento (lo sventramento?) dei territori della frontiera, viene riassunto nello scavo dentro le ossessioni di un uomo che piano piano sostituisce l’entusiasmo con l’avidità e il rispetto con l’egoismo. Girato in Cinemascope e in scenari di ruvida bellezza, il film finisce così per concentrarsi sulla faccia di Daniel Day-Lewis, davvero ammirevole nel lavoro mimetico che gli permette di esprimere con la forza dello sguardo, l’incurvatura del corpo, la mobilità delle mani quello che stava trasformando lo spirito e l’animo di tutta una nazione. Anderson sembra non volersi staccare mai dal suo attore, lo pedina con lunghe carrellate laterali, lo inquadra in primissimo piano come per incorniciare quello che accade sullo sfondo e a volte sembra perdere di vista il flusso del racconto. O, meglio, finisce per sottolineare soprattutto uno dei protagonisti in scena, affascinato dall’attore che lo interpreta e insieme ossessionato dalla determinazione del personaggio che incarna. I meriti e i difetti del film sono tutti qui, nella prova forse troppo grande di Daniel Day-Lewis e nello sforzo che fa il regista per non perderne nemmeno un grammo (il film dura 158 minuti), a scapito dei personaggi – il «figlio», il predicatore invasato, il falso fratello, l’assistente – e dei temi – gli affetti, la superstizione, l’avidità – che pure sono presenti nel film.”
(Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 9 Febbraio 2008)
“L’astro nascente del cinema americano più che hollywoodiano, il narratore più affascinante del momento, Paul Thomas Anderson, per la prima volta alle prese con un romanzo da reinventare sullo schermo, e fuori dalla foresta conosciuta come Los Angeles, tra i deserti petroliferi dei ‘Citizen Kane’ di San Louis Obispo, ne ha voluto fare un ‘Novecento’ californiano e non solo per l’argomento e la durata, 2 ore e 38′, o per la superba qualità artistica delle immagini visive e sonore, che combattono tra di loro come hate e love dentro il Mitchum di ‘Il terrore corre sul fiume’, grazie alle rapsodie elettroniche, meravigliosamente invadenti e pertinenti, di Jonny ‘Radiohead’ Greenwood. Credo che per la prima volta nativi e californios, wobblies e operai triturati dallo sviluppo, Zorro e Chavez, abbiano trovato in un film qualche motivo per sentirsi, da revenant, spettri un pochino vendicati. Che carogne quelli che fecero la conquista del West.”
(Roberto Silvestri, Il Manifesto, 9 Febbraio 2008)
“È il racconto delle radici primitive, delle origini di un capitalismo selvaggio che finiscono per essere sovrastrutture materiali di potere, di necessità di violento dominio in barba al senso della vita e ai basilari sentimenti d’affetto verso il prossimo. Plainview “venderebbe anche la madre pur di…”, intanto attorno a lui si creano le basi per la frontiera geografico/politica di più recente nascita, quella americana, imbevuta di fanatico revivalismo religioso e prepotente lotta di competizione economica senza regole. Fondamenta di una cultura dallo strascico sociale che ancora decide gli indirizzi politici dei governanti statunitensi odierni.”
(Davide Turrini, Liberazione, 9 Febbraio 2008)
Luca Biscontini
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