Stasera in tv su Rai 3 alle 21,20 in prima visione Parasite, un film del 2019 diretto da Bong Joon-ho. È stato presentato alla 72ª edizione del Festival di Cannes, dove ha vinto la Palma d’oro, diventando il primo film sudcoreano ad aggiudicarsi tale riconoscimento. È stato anche il primo film sudcoreano a venire candidato ai Premi Oscar, vincendone quattro, tra cui quello per il miglior film, mai assegnato fino a quel momento a un lungometraggio non in lingua inglese (non considerando i film muti). Parasite ha incassato in Corea del Sud l’equivalente di 72,9 milioni di dollari statunitensi e altri 152 milioni nel resto del mondo, per un totale di 225 milioni di dollari. È diventato il film di maggiore incasso del regista Bong Joon-ho e il film coreano più visto di sempre. Dopo il trionfo agli Oscar, Il film sale al primo posto del botteghino italiano con oltre 2,5 milioni di euro. In Italia il film ha incassato in totale più di 5,6 milioni di euro. Con Kang-ho Song, Sun-kyun Lee, Hyae Jin Chang, Yeo-Jeong Cho, Woo-sik Choi, So-dam Park.
Trama
Tutta la famiglia di Ki-taek è senza lavoro. Ki-taek è particolarmente interessata allo stile di vita della ricchissima famiglia Park. Un giorno, suo figlio riesce a farsi assumere dai Park e le due famiglie si ritrovano così intrecciate da una serie di eventi incontrollabili.
È stato senza dubbio il film dell’anno, quello che ha messo d’accordo tutti, critica e pubblico, facendo un’incetta di premi, come mai si era verificato in precedenza. Se ne è parlato tantissimo, per i temi toccati, per il modo di affrontarli, per la messa in scena e per le scelte registiche. Prima di addentrarsi in un’analisi di Parasite, film vincitore della Palma d’Oro alla scorsa edizione del Festival di Cannes e di quattro Premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior film internazionale e miglior sceneggiatura originale), ciò che bisogna premettere e segnalare è l’azzeccatissimo tono tragicomico utilizzato dal regista coreano Bong Joon-ho per mettere in scena una vicenda apparentemente surreale, ma che in realtà descrive con eccellente verosimiglianza le tristi dinamiche dell’ultima fase del capitalismo contemporaneo, in cui lo “spazio liscio” del consumo ha sedato ogni forma di vero antagonismo sociale, dando inizio a quella che Pier Paolo Pasolini definì “la fine della Storia”.
Il godimento promesso dall’acquisto delle merci o, ancora meglio, l’idea di godimento che esse dovrebbero garantire, ha definitivamente prevalso: il nemico contro cui scagliarsi in nome di una maggiore equità e di una più congrua redistribuzione delle risorse è evaporato, laddove tutto il corpo sociale è stato sussunto dall’ideologia dominante, che azzera il conflitto, rilanciando in continuazione la propria scommessa, quella, per l’appunto, di un godimento a oltranza.
Senza particolari virtuosismi dal punto di vista registico, ma forte di una sceneggiatura solida e ottimamente orchestrata, Bong Joon-ho sbatte in faccia allo spettatore, invitandolo a un salutare risveglio, lo stato della situazione attuale, in cui tutto può essere acquistato, finanche la dignità umana, perché il valore di ogni cosa è traducibile con un’adeguata quantificazione. Ecco, allora, che una disagiata, ma ingegnosa famiglia composta da quattro membri (padre, madre, figlio, figlia), dopo aver escogitato un piano per trovare lavoro presso una coppia di benestanti borghesi residenti in una sontuosa villa nella parte alta della città, si ritrova dallo stato iniziale, in cui crede di sfruttare (il parassitismo del titolo), a quello successivo, in cui comprende quanto, al contrario, sia essa ad essere “vampirizzata”.
Senza entrare nel dettaglio, per non rovinare la fruizione del film, ciò che può essere detto è che, tra un colpo di scena e l’altro, situazioni grottesche a ripetizione, umorismo non convenzionale e anche qualche sequenza sanguinolenta, il regista ci accompagna in un percorso che, in un certo senso, descrive la graduale presa di coscienza dei protagonisti. E con essi, chi guarda assiste a una sorta di rovesciamento, che, si perdoni l’iperbole, fa venire in mente quello attuato da Karl Marx nei confronti dell’idealismo hegeliano.
Luca Biscontini
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