Stasera in tv su Rete 4 alle 00,55 La caduta degli dei, un film del 1969 diretto da Luchino Visconti. Primo capitolo della “trilogia tedesca”, che continua con Morte a Venezia (1971) e Ludwig (1973), è un film ispirato alla tragedia di Shakespeare Macbeth e alla famiglia Thyssen. Scritto e sceneggiato da Nicola Badalucco, Enrico Medioli e Luchino Visconti, con la fotografia di Pasqualino De Santis e Armando Nannuzzi, il montaggio di Ruggero Mastroianni, le scenografie di Vincenzo Del Prato e le musiche di Maurice Jarre, Walter Kollo e Willy Kollo, La caduta degli dei è interpretato da Dirk Bogarde, Ingrid Thulin, Helmut Berger, Charlotte Rampling, Umberto Orsini, Florinda Bolkan, Helmut Griem, Renaud Verley, Reinhard Kolldehoff.
Trama
Il film narra la saga della famiglia Essenbeck, proprietaria di grandi acciaierie, alla vigilia della presa del potere dei nazisti in Germania. Il vecchio Joachim è intenzionato a passare la mano ai figli tra cui ci sono fautori e oppositori di Hitler. Tra i parenti più stretti c’è anche un simpatizzante delle Ss che approfitta della situazione per sbarazzarsi con la violenza dei suoi avversari all’interno della famiglia. Incesti e suicidi completano il quadro della situazione che ha l’andamento di una tragedia greca e lo spirito dei romanzi dell’amato Thomas Mann. Partendo da questi riferimenti Visconti elabora una vicenda di epica grandezza e di straordinaria eleganza formale.
“C’era una mia idea di fare la storia di una famiglia nel cui seno avvengono dei delitti che rimangono praticamente impuniti. Dove, come e quando nella storia moderna dei fatti così potevano avvenire? Soltanto durante il nazismo. Durante il nazismo avvenivano degli eccidi, avvenivano degli assassinii, sia in massa, sia singoli, che rimanevano assolutamente impuniti“.
(Luchino Visconti)
“Amavo i film di Pasolini, Salò in particolare, e quell’autentico capolavoro di Visconti che è La caduta degli dei“.
(Rainer Werner Fassbinder)
La caduta degli dei (1969) è il primo film di Luchino Visconti della “trilogia tedesca”. Nel 1971 segue il decadente Morte a Venezia e nel 1972 l’epico Ludwig. È opinione comune tra i critici che il regista milanese, con questo film, inizi un nuovo periodo della sua produzione cinematografica, lasciando alle spalle, definitivamente, il periodo neorealista, quello realista e quello storico. In questi ultimi, le vicende familiari si intrecciano con la storia d’Italia come, ad esempio, in Rocco e i suoi fratelli (1960) e Il Gattopardo (1963). Anche ne La caduta degli dei il pretesto è l’analisi degli avvenimenti che coinvolgono la ricca famiglia Essenbeck durante un ben definito periodo della storia della Germania. Lo sviluppo della vicenda è circoscritto nel perimetro fisico del castello di famiglia. Si percepisce l’ossessiva volontà di alimentare pathos nei personaggi in maniera cosi puntigliosa e marcata da far immaginare che il regista, al di là della composizione documentaristica e documentale degli eventi, abbia avvertito il bisogno di consegnare allo spettatore elementi autobiografici anziché storici.
Parabola di dissoluzione alto borghese, falò di vanità e ambizioni, paure e ritorsioni, saga famigliare e spaccato sociale, psicologicamente inquieto nel ritratto di atmosfere febbricitanti e personaggi irrequieti: solo Luchino Visconti, il regista più aristocratico del cinema italiano (europeo), poteva immortalare con così esplicita sofferenza ed esangue passione il crepuscolo morale inesorabile della famiglia Essenbeck. Rifacendosi alla tragedia shakespeariana (per il disegno dei personaggi) e alla narrativa di Mann (ascendenze da I Buddenbrook abbastanza palesi), mette in scena un dramma decadente sul declino di un sistema e dei suoi (dis)valori, cuocendo a fuoco lento e protervo che infiamma tutto senza pietà carne sanguigna ed acida.
Lungo come un romanzo del romanticismo ottocentesco, rimaneggiato da un proselita dell’atteggiamento critico precedente all’ascesa del nazismo, La caduta degli dei pone al centro della storia personaggi dissoluti e smarriti in loro stessi e nelle loro tentazioni perverse (non solo l’acciaieria e il potere economico, ma anche un incesto, il travestimento femminile, le relazioni clandestine, i bordelli – e tutto ciò che concerne il sesso), avversi ad Hitler perché figlio del popolo e non perché dittatore, capaci di rigirare le situazioni a loro piacimento, viziati dal fascino della lussuria e dell’arroganza: destinati a un epilogo già scritto, cadono a poco a poco tutti quanti, anche coloro che continuano la loro esistenza (ovviamente in regresso), come crollano agli occhi del popolo illuminato dalla ragione gli dei eletti a padroni del divenire delle nostre vite. Senza pietà, senza ragione, con una freddezza che in realtà è partecipazione, con l’occhio del regista perso in una prospettiva di irreprensibile angoscia.
Luca Biscontini
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