Stasera in tv Lazzaro felice di Alice Rohrwacher

Stasera in tv su Rai 5 alle 21,15 (e disponibile anche su RaiPlay) Lazzaro felice, un film del 2018 diretto da Alice Rohrwacher. È stato presentato in concorso al Festival di Cannes del 2018, dove ha conquistato il premio per la Migliore Sceneggiatura. L’omonimo protagonista è interpretato dal debuttante Adriano Tardiolo. Il cast comprende inoltre Alba Rohrwacher (sorella della regista), Nicoletta Braschi e Tommaso Ragno. Con la direzione della fotografia di Hélène Louvart, le scenografie di Emita Frigato, i costumi di Loredana Buscemi e le musiche di Piero Crucitti, Lazzaro felice viene così descritto dalla regista in occasione della partecipazione in concorso al Festival di Cannes 2018: “Lazzaro felice è la storia di un’elevazione alla santità senza miracoli, poteri ed effetti speciali, ma semplicemente per il fatto di essere al mondo, di avere fede negli esseri umani e di non pensare male. Il film evoca la bontà come concetto e regola di vita: è un manifesto politico, una fiaba, un canzone, sull’Italia degli ultimi cinquant’anni“.

Trama
Quella di Lazzaro, un contadino che non ha ancora vent’anni ed è talmente buono da sembrare stupido, e Tancredi, giovane come lui, ma viziato dalla sua immaginazione, è la storia di un’amicizia. Un’amicizia che nasce vera, nel bel mezzo di trame segrete e bugie. Un’amicizia che, luminosa e giovane, è la prima, per Lazzaro. E attraverserà intatta il tempo che passa e le conseguenze dirompenti della fine di un Grande Inganno, portando Lazzaro nella città, enorme e vuota, alla ricerca di Tancredi.

“Attraverso le avventure di Lazzaro, volevo raccontare nel modo più lieve possibile, con amore e umore, la tragedia che ha devastato il mio paese, il passaggio cioè da un medioevo materiale ad un medioevo umano: la fine della civiltà contadina, la migrazione ai bordi della città di migliaia di persone che non sapevano nulla della modernità, la loro rinuncia al poco per avere ancora meno. Un mondo di polverosi sfruttamenti che finisce, e si trasforma in altri sfruttamenti più nuovi e lucidi, più attraenti. Lazzaro, senza saperlo, viaggia nel tempo, e interroga le immagini del presente come un enigma, con i suoi occhi accoglienti e spalancati. Perché viaggiare nel tempo? Piegare le pagine della storia e vedere una a fianco all’altra epoche così contraddittorie eppure simili: è sempre stato un mio desiderio, quando ero a scuola, scuotere il libro e mischiare le carte, e in qualche modo il cinema lo rende possibile.

Per costruire la storia sono partita da un fatto reale che mi ha colpita: riguarda la vicenda di una Marchesa del centro Italia che, approfittando dell’isolamento di alcune sue proprietà, aveva mantenuto i suoi contadini all’oscuro della fine della mezzadria. Quando finalmente per legge tutti gli accordi mezzadrili ancora in corso, nel 1982, furono convertiti in contratti di affitto o lavoro salariato, la nostra Marchesa fece finta di niente. Per qualche anno insomma i suoi contadini continuarono a vivere in una condizione semi-servile mentre l’abolizione della mezzadria trasformava secoli (millenni?) di sfruttamento in veri contratti tra pari, regolati dalle leggi di Stato: un passaggio epocale che mutava secoli di sudditanza in una scelta voluta e negoziabile. Mi ha sempre fatto una struggente tenerezza la storia di questi contadini che arrivarono in ritardo a questo appuntamento con la storia, e che restarono tagliati fuori da una trasformazione, raccogliendo solo i resti di quel passaggio fragoroso. Un trafiletto di cronaca da dimenticare la mattina dopo, ma che loro hanno conservato gelosamente appeso ad un muro, ad ingiallire, unica testimonianza di un mondo che si è sfasciato, e li ha lasciati indietro.

In Lazzaro felice ancora più che nei film precedenti abbiamo voluto sperimentare la fiaba, con tutte le sue incoerenze, i suoi misteri, i suoi ritorni straordinari e i suoi personaggi buoni e cattivi. La fiaba e il suo simbolismo, inteso non come astrazione eterea o promessa di avventure sovraumane e nebulose, ma come gancio tra la realtà e un altro strato dell’essere: è dalla vita che nascono i simboli, in maniera così profonda e dettagliata che diventano la vita di tutti, la vita di un paese, l’Italia, nella sua trasformazione. La storia, è sempre la stessa: la storia della rinascita, dell’araba fenice, dell’innocenza che nonostante tutto e tutti torna a visitarci, a struggerci. Fiabeschi ma reali sono i personaggi, quindi, le vicende, e fiabeschi ma reali, nel senso più crudo del termine, sono anche i luoghi: da una parte una campagna isolata, divisa dal resto del mondo da un vecchio ponte crollato. Il luogo si chiama Inviolata, ed è l’ultimo baluardo della regina delle sigarette, la Marchesa Alfonsina de Luna, che ogni estate per rivivere gli antichi splendori si reca nella tenuta dopo un rocambolesco attraversamento del fiume. Dall’altra parte c’è la grande città di NN, l’altrove in cui il tempo è passato come un treno, in cui la lotta non è più quella di un gruppo di disperati contro la padrona (“la serpe avvelenata”) ma una lotta dei poveri contro i poveri. Una distesa di case dove chi può, simile a una bestiolina, costruisce una tana e si barrica dentro. Un luogo in cui gli ex contadini non ne vogliono sapere di raccogliere la cicoria che continua a nascere, preferiscono mangiare le chips e le merendine dell’ultima refurtiva. Dopo aver lavorato tanto, dopo essere stati così sfruttati, come dargli torto? In fondo il “maldicampagna”, il rifiuto della terra, è stato qualcosa di cui sono stati vittime, e che non hanno scelto; i responsabili sono altri”.
(Alice Rohrwacher)

 

 

Luca Biscontini