Stasera in tv Le verità di Hirokazu Koreeda, con Catherine Deneuve e Juliette Binoche

Stasera in tv su Rai Movie alle 00,40 (ma disponibile anche su RaiPlay) Le verità, un film del 2019 diretto da Hirokazu Kore’eda. Di produzione franco-giapponese, è il primo lungometraggio del regista nipponico Kore’eda a non essere girato nella sua lingua madre. È interpretato da Catherine Deneuve e Juliette Binoche. È stato presentato in concorso, come film d’apertura, alla 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Con la direzione della fotografia di Eric Gautier, le scenografie di Riton Dupire-Clément, i costumi di Pascaline Chavanne e le musiche di Alexeï Aïgui, Le verità è interpretato da Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ethan Hawke, Clémentine Grenier, Manon Clavel, Alain Libolt, Christian Crahay, Roger Van Hool.

Trama
Fabienne (Catherine Deneuve) è una star del cinema francese circondata da uomini che la adorano e la ammirano. Quando pubblica la sua autobiografia, la figlia Lumir (Juliette Binoche) torna a Parigi da New York con marito (Ethan Hawke) e figlia. L’incontro tra madre e figlia si trasformerà velocemente in un confronto: le verità verranno a galla, i conti saranno sistemati, gli amori e i risentimenti confessati.

“Apprendo con gioia immensa che il mio nuovo film La vérité è stato selezionato in apertura del concorso della Mostra di Venezia. Sono estremamente onorato. Desidero esprimere la mia sincera gratitudine a tutto lo staff della Mostra. Le riprese si sono svolte lo scorso autunno a Parigi in dieci settimane. Come già è stato ufficialmente annunciato, il cast è prestigioso, e il film racconta una piccola storia di famiglia che si sviluppa principalmente in una casa. È all’interno di questo piccolo universo che ho provato a far vivere i miei personaggi con le loro menzogne, orgogli, rimpianti, tristezze, gioie e riconciliazioni. Spero sinceramente che il film vi piaccia”.
(Kore-eda Hirokazu)

“Sembra un classico e già visto gioco di scatole cinesi, ma in realtà Kore-eda gestisce il suo mosaico di relazioni con una finezza che non ha nulla dello scherzo intellettuale. Nonostante gli evidenti e potenzialmente fastidiosi elementi meta-cinematografici, il mondo di La vérité non è né set né palcoscenico, né finzione che nasce dalla realtà (l’attrice scomparsa di cui tutti parlano ricorda Françoise Dorleac, sorella della Deneuve morta in un incidente stradale nel ’67; i capelli di Fabienne sono spesso agghindati come quelli di Séverine in Bella di giorno; Fabienne naturalmente ha molto del carattere della vera Deneuve…) o il suo contrario.

Quello di Kore-eda è un mondo raffigurato in totale, concluso e puramente cinematografico, costruito dai personaggi che vi prendono parte e definito dalle loro parole e dalla loro presenza. Non c’è nulla di gratuito, in La vérité, ma al massimo di naturale, perché le relazioni fra i personaggi – scritte, recitate, improvvisate e continuamente sconfessate dai personaggi stessi, che si rimpallano di scena in scena tentativi di seduzione e inganno – sono sempre gestite a partire da uno sfasamento o da un’assenza (dell’attrice morta, di tutti i ruoli che Fabienne ha interpretato nella sua carriera) che le rende vive e paradossalmente vere.

Ogni relazione raccontata nel film – fra madre e figlia, nonna e nipote, moglie e marito, suocera e genero, attrice e rivale – è ripetuta in modo sbilenco (nell’autobiografia piena di bugie di Fabienne, nei dialoghi che Lumir scrive per la madre per aiutarla a chiedere scusa al suo assistente), ripreso e ribaltato (il gioco delle età che si invertono fra madre e figlia), scritto e poi improvvisato, improvvisato e poi trasformato nella battuta di un copione… La verità, insomma, per Kore-eda è un dubbio ripetuto così tante volte da essere diventato vero; o forse l’opposto, un fatto realmente accaduto che nel ricordo ha assunto i contorni di una fantasia. Chissà.

E il cinema, come giù succedeva in Third Murder, anche quando mostra i fatti nel momento in cui accadano (un omicidio, una confessione, una lacrime), non può fare a meno di contemplare l’inevitabile esistenza dell’inganno. La totalità dello spazio rappresentato implica perciò una contraddizione, un’ambiguità di fondo, che è ciò che rende i mondi chiusi di Kore-eda splendide e spietate raffigurazioni in miniatura del mondo e delle sue tensioni.

Era così per la piccola casa di Un affare di famiglia o per la giostra di Ritratto di famiglia con tempesta, ed è così per la villa alle porte di Parigi di Le verità, anch’essa replicata nel film dal piccolo teatro di cartone che Charlotte prende in mano nella prima scena e che il nonno ripara amorevolmente. In quell’oggetto all’apparenza trascurabile c’è in realtà la presenza del regista che forse più di ogni altro ha fatto da modello e ispirazione per questo primo film europeo di Kore-eda, Ingmar Bergman. Il teatrino è quello di Fanny e Alexander, così come il nonno di Charlotte che appare, scompare e riappare nei panni di una tartaruga fa pensare al rabbino Isak Jacobi di Erland Josephson; mentre Fabienne e Lumir ricordano la madre e la figlia in conflitto di Sinfonia d’autunno, dal quale a loro volta sembrano provenire le riprese del film interpretato da Fabienne, allestite in un spazio filmato orizzontalmente e palesemente finto…

In questi piccoli omaggi chissà quanto consapevoli c’è il segreto della bellezza di Le verità, l’idea cioè di un cinema che agisce liberamente sulla realtà e sulla sua messinscena, evidenziando proprio nella loro continua frizione il rumore della vita. Il frastuono del metrò che d’inverno si sente oltre il giardino, ad esempio, come dice Fabienne nel finale. O il sapore delle lacrime, la bellezza dell’inganno, l’incertezza della sincerità.”
(Roberto Manassero, Cineforum, 9 Ott0bre 2019)

 

 

Luca Biscontini