Stasera in tv su Cielo alle 21,25 Neruda, un film del 2016 diretto da Pablo Larraín. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2016 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, il film si ispira a fatti realmente accaduti a Pablo Neruda e si concentra sul rapporto fra il poeta comunista, fuggito clandestinamente per eludere il carcere, e l’investigatore Óscar Peluchonneau, incaricato del suo arresto. Larraín ha lavorato sul progetto per cinque anni. Partendo da tre biografie selezionate, ha perfezionato le sue conoscenze su Pablo Neruda intervistando molte persone che l’hanno conosciuto. Il produttore del film, fratello del regista, poiché il budget iniziale era molto basso, fu costretto a tagliare venti pagine di sceneggiatura, ma Pablo Larraín, non volendo rinunciare a nessuna delle scene, preferì risparmiare sulle riprese e sui costumi, girando il film in tempi brevissimi. Con Gael García Bernal, Luis Gnecco, Alfredo Castro, Mercedes Morán, Pablo Derqui, Marcelo Alonso, Alejandro Goic, Jaime Vadell.
Trama
Nel 1948 il clima della Guerra Fredda raggiunge il Cile. Durante un appassionato discorso al Congresso il senatore Pablo Neruda, poeta e comunista, critica il governo. Il presidente Varela lo rimuove immediatamente dal suo incarico e delega il suo arresto a Oscar Peluchonneau, un inspettore della polizia. Neruda e la moglie, la pittrice Delia del Carril, falliscono il loro tentativo di fuga dal Cile e sono costretti a nascondersi. Con Peluchonneau alle costole, il clandestino Neruda completa la stesura di Canto General e si dedica a escursioni notturne segrete. La storia della caccia al poeta in breve giunge in Europa, dove gli artisti guidati da Pablo Picasso fanno sentire la loro voce per la libertà di Neruda.
“Puedo escribir los versos más tristes esta noche. Pensar que no la tengo. Sentir que la he perdido” (Posso scrivere i versi più tristi questa notte. Pensare che non l’ho. Dolermi d’averla perduta): i versi suadenti di Pablo Neruda fluttuano tra gli interstizi delle immagini sapientemente elaborate e giustapposte da Pablo Larraín, che conferma, con Neruda, di essere un grande narratore, laddove il suo corpo a corpo con il poeta non poteva realizzarsi in maniera più felice. Sebbene il film affronti con una certa rigorosità filologica l’esilio che Neruda, una volta divenuto presidente Gabriel González Videla, dovette scontare, ciò che davvero rimane impresso, scolpito nel cervello, di questa opera, sono le dizioni struggenti, penetranti, disarmanti che il bravissimo Luis Gnecco dissemina durante l’arco dei 107 minuti di visione. La poesia eccede la capacità di presa del linguaggio, contesta il senso ordinario, rimandando a ‘un altro senso’, che non può esser detto, articolato, semmai solo evocato, indicato, in quanto costantemente fuori campo. Larraín, molto coraggiosamente, non si lascia sedurre dal consueto approccio ‘monumentalizzante’, che solitamente caratterizza i film biografici, piuttosto tenta titanicamente di sprofondare (perché di questo si tratta) nell’universo poetico di Neruda, giacché la parola del poeta aleggia su tutto il Cile e allora si tratta di mettersi in contatto e al servizio di essa, di farla fluire e ascoltare, perché lì, e lì solo, è contenuta, custodita, una verità che aspetta di essere intesa.
La Storia viene messa in un rapporto apparentemente dialettico con la Poesia ma, e qui risiede la bontà del film, ciò che davvero viene allestito è un piano d’immanenza in cui prende corpo un altro tempo, un tempo interiore, il quale fornisce valore al susseguirsi di fatti che, seppur interessanti, non dicono nulla dell’Arte di Neruda e Larraín è fin troppo, si fa per dire, didascalico, laddove imbocca lo spettatore (ci si riferisce a quel bellissimo faccia a faccia tra l’allora moglie di Neruda, Delia del Carril, e Peluchonneau), invitandolo a non fraintendere la narrazione, a non prenderla alla lettera. Ed ecco, allora, che la voce narrante del poliziotto, che sembrerebbe di primo acchito restituire soggettivamente una personale versione dei fatti, si rivela l’ennesimo artificio letterario del poeta, il quale, personaggio principale della storia che ha lui stesso ideato, lascia che quello secondario parli, ‘ventriloquiandolo’, fino a un epilogo ammantato di sogno, dove il rosso della vita e il bianco della pagina immacolata si fondono in una misteriosa indiscernibilità, attraverso cui sgorga il senso.
“Puedo escribir los versos más tristes esta noche. Escribir, por ejemplo: «La noche está estrellada, y tiritan, azules, los astros, a lo lejos»” (Posso scrivere i versi più tristi questa notte. Scrivere, ad esempio: «La notte è stellata, e tremolano, azzurri, gli astri, in lontananza»): i versi son detti, declamati, con la voce poetica di Neruda, ed è tutto uno spellarsi di mani, un applaudire, perché chi ascolta si riconosce completamente in quelle parole; il poeta interpreta davvero, come poi avrebbe sottolineato il ‘secondo’ Heidegger nel suo peregrinare negli abissi del linguaggio, lo spirito di un popolo, circostanza questa non poco pertinente se si considera che Neruda si trovò quasi sul punto di essere eletto presidente del Cile (poi, invece, preferì defilarsi in favore del socialista Salvador Allende). Piace, infine, del film di Larraín l’articolazione del rapporto tra il comunismo ortodosso di Neruda e il suo mondo poetico, sebbene, come si è segnalato in precedenza, ci sia una dialettica apparente, già da sempre superata da quello sguardo che anima e dona senso al mondo. Lode al poeta, dunque, e alla donazione di senso di cui non dovremmo mai smettere di essergli grati.
Luca Biscontini
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