Stasera in tv Queimada di Gillo Pontecorvo, con Marlon Brando

Stasera in tv su Rai Movie alle 02,45 Queimada, un film del 1969 diretto da Gillo Pontecorvo e interpretato da Marlon Brando. Girato quasi interamente a Cartagena, in Colombia, il regista usò per protagonisti molti nativi locali (la maggior parte dei quali non sapeva neppure cosa fosse il cinema), analfabeti, in una condizione molto simile a quella degli abitanti delle colonie sfruttati dai bianchi e diffidenti verso gli stranieri. Prodotto da Alberto Grimaldi, scritto e sceneggiato da Franco Solinas e Giorgio Arlorio, con la fotografia di Giuseppe Ruzzolini e
Marcello Gatti, il montaggio di Mario Morra, le scenografie di Sergio Canevari, i costumi di Marilù Carteny, gli effetti speciali di Aldo Gasparri e le musiche di Ennio Morricone, dirette da Bruno Nicolai, Queimada è interpretato da Marlon Brando, Evaristo Marquez, Renato Salvatori, Dana Ghia, Giampiero Albertini, Valeria Ferran Wanani.

Trama
Un agente inglese organizza la rivolta contro i portoghesi in un’isola caraibica e dieci anni più tardi torna per uccidere José Dolores, l’uomo che lui stesso aveva scelto come capo della rivoluzione.

Dopo un capolavoro quale La battaglia di Algeri (1966), vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, non dev’essere stato facile per Gillo Pontecorvo rimettersi dietro alla macchina da presa. Eppure il regista non solo tornò al lavoro, ma alzò la posta, con una vicenda dal respiro ancor più universale. Queimada (1968), è bene dirlo chiaramente, non raggiunge le vette stilistiche, contenutistiche e poetiche dell’opera precedente, ma ad ogni modo rimane un eccellente esempio di cinema di impegno civile, capace di scuotere le coscienze e invitare alla riflessione. Un cinema “anticolonialista”, mosso dall’esigenza di far emergere le laceranti contraddizioni di un mondo ancora basato su intollerabili rapporti di forza, laddove la dialettica oppressori-oppressi, retaggio dell’atavica tendenza del vecchio continente a imporre la propria supremazia, non cessava di provocare immense sofferenze.

Con la sceneggiatura di due grandissimi autori, Franco Solinas e Giorgio Arlorio, Pontecorvo riuscì a coinvolgere un divo del calibro di Marlon Brando, che accettò il ruolo di protagonista in quanto era stato molto favorevolmente colpito da La battaglia di Algeri. Purtroppo, successivamente, come è noto, sorsero grandi incomprensioni tra l’attore e il regista, dovute principalmente alla difficoltà di Brando di recitare a fianco di attori non professionisti. Il film fu girato quasi interamente a Cartagena, in Colombia e il regista, infatti, ingaggiò molti nativi locali (la maggior parte dei quali non sapeva neppure cosa fosse il cinema), analfabeti, che versavano in una condizione molto simile a quella degli abitanti delle colonie sfruttati dai bianchi e, perciò, assai diffidenti verso gli stranieri. A conferma di ciò – come raccontato da Pontecorvo stesso – quando la produzione, in cerca di interpreti locali, intravide Evaristo Marquez e tentò di avvicinarlo per affidargli la parte dell’antagonista questi si diede alla fuga, temendo chissà che cosa: ci volle un’ora di inseguimento per fargli capire le intenzioni pacifiche ed altrettanto per convincerlo a lavorare nel film.

Se è vero, come molti commentatori hanno sottolineato, che Queimada risulta didascalico, soprattutto per l’incipit in cui lo spettatore viene istruito ad hoc attraverso un dialogo tra sir William Walker (Brando) e il suo nostromo, lo stesso non può esser detto per lo sviluppo della vicenda narrata, poiché ciò che viene mostrata è la tensione tra due visioni inconciliabili di rivoluzione. Una, quella dello scaltro Walker, poggia sull’adozione del modello occidentale di progresso, il quale, però, non può esser applicato a un mondo e a un’umanità completamente differenti; l’altra, di José Dolores, smarca la concezione utilitaristica, perché comprende istintivamente che solo a partire dalla matrice culturale d’origine può prendere corpo un vero percorso di liberazione. E, allora, quella di Queimada non è solo la storia di una lotta tra dominatori e dominati, ma una scansione tutt’altro che scontata dei vari passaggi che conducono alla presa di coscienza della natura di un popolo.

Una piccola isola dell’Antille diviene lo scenario ideale attraverso cui fare un’esperienza universale di liberazione, emancipazione e rispetto delle differenze. Se è vero poi che la cultura terzomondista era assai diffusa nel 1968, Pontecorvo seppe farne un uso illuminato, senza scadere nella retorica, piuttosto snocciolando quasi scientificamente le contraddizioni e i nodi da sciogliere per superarle.

Un discorso a parte va fatto per la prestazione di Marlon Brando che, nonostante le incomprensioni con il regista, offre una performance di alto livello, confermando la sua grande statura di attore. Sempre all’altezza, da tutti i punti di vista, con alcuni picchi di bravura che difficilmente si dimenticano. Meno convincente, non per sua colpa ma per il ruolo affidatogli (quello di un mulatto indigeno che poi diviene il presidente dell’isola), Renato Salvatori duetta comunque egregiamente con il protagonista. Evaristo Marquez commuove e trascina lo spettatore nel dramma del film, convocandolo a sforzarsi di capire fino in fondo le ragioni profonde del suo comportamento, della sua necessaria ostinazione. Ottima, infine, la fotografia di Giuseppe Ruzzolini e Marcello Gatti e indimenticabili le musiche del maestro Ennio Morricone che ammantano il film del giusto respiro epico.

 

 

Luca Biscontini