Stasera in tv Senza pietà di Alberto Lattuada

Stasera in tv su Rai Storia alle 21,10 Senza pietà, un film del 1948 diretto da Alberto Lattuada. Prodotto da Carlo Ponti e Clemente Fracassi, con il soggetto di Ettore Maria Margadonna, la sceneggiatura di Federico Fellini e Tullio Pinelli, la fotografia di Aldo Tonti, il montaggio di Mario Bonotti, le scenografie di Piero Gherardi e le musiche di Nino Rota, Senza pietà è interpretato da Carla Del Poggio, John Kitzmiller, Giulietta Masina, Folco Lulli, Pierre Claudè. La Lux portò Senza pietà alla Mostra di Venezia con grandi speranze, ma questo film, al pari del Macbeth di Orson Welles, fu il più illustre sconfitto dell’edizione di quell’anno, vinta da Hamlet di Laurence Olivier, che poi otterrà anche l’Oscar 1949. Una sconfitta che alcuni anni dopo Lattuada attribuì «alla mia insopportabile posizione di indipendenza politica, [mentre] molta critica del dopoguerra era ciecamente partigiana». La pellicola incassò 201.250.000 lire dell’epoca, un risultato commerciale che situa il film tra i primi (undicesimo posto su 46) tra quelli di produzione italiana usciti nelle sale nel 1948, anno in cui campione al botteghino fu I miserabili di Riccardo Freda (375 milioni di lire), peraltro sviluppatosi in due distinte pellicole, seguito da Fifa e arena, di Mario Mattoli, con Totò (371 milioni).

Trama
Costretta ad andar via di casa per una maternità, tra l’altro finita male, Angela parte per Livorno alla ricerca del fratello. Sul treno viene scoperta senza biglietto e finisce in galera. Quindi, invece del fratello (che nel frattempo è morto), fa la conoscenza di Jerry, un sergente americano di colore che s’innamora di lei. Conosce anche Pier Luigi, il capo della malavita locale e per colpa di lui diventa prostituta.

«È l’anno 1948, il momento di mandare al mondo una lettera di sfida antirazzista, in modo particolare una provocazione per l’opinione maccartista americana: la storia di un soldato nero che ama una ragazza bianca. Ponti non esita. [il film fu] una bomba. Parigi batte le mani, la stampa americana si divide per ovvie ragioni politiche, ma non arresta il cammino internazionale del film».
(Alberto Lattuada)

“Nel novero dei vari modi con i quali il cinema italiano del primo dopoguerra si avvicina alla realtà postbellica, la sottolineatura della componente ‘nera’ è elemento di primo piano, soprattutto in quei registi che uniscono all’attenzione per i dati formali una cultura filmica che guarda agli Stati Uniti come alla Francia: su tutti, Giuseppe De Santis e Alberto Lattuada. Già in Il bandito (1946) Lattuada aveva posto l’accento sull’ineluttabilità del destino che attendeva i reduci, sconfitti dall’andamento degli eventi bellici e poi da una società che li respingeva, e costretti infine a scendere sul terreno della criminalità. Senza pietà, con la didascalia che lo apre a ricordarlo fin dal primo momento, sposta il discorso sui tanti indifesi rimasti vittime di un periodo di grande confusione materiale e morale, della solitudine, della povertà, della necessità di riscatto. Per questo Lattuada sceglie Tombolo, già immortalata come ‘paradiso nero’ da un’altra pellicola (Tombolo ‒ Paradiso nero, Giorgio Ferroni 1947), come simbolo della tentazione criminale, luogo di perdizione dove albergano i vizi e le depravazioni peggiori. Il racconto, che procede a ritmo serrato e incrocia le vicende delle ragazze a quelle di Jerry, soldato nero che ama una donna bianca, ritrae con cupo realismo i mille mali ancora da sanare che attraversano quell’Italia distrutta. La disperazione di fondo, il plumbeo grigiore sono un portato del cinema francese d’anteguerra, mentre la densità della messa in scena e l’avvolgente linearità di alcuni movimenti di macchina provengono direttamente dall’amore per i film hollywoodiani. La sequenza della balera, nella quale le ragazze danzano scatenate con i loro amanti e clienti, è una testimonianza di questo amore, come già avviene nell’opera di De Santis; il montaggio rapido fa salire la tensione insieme al ritmo della musica ed esalta la controllata ma sensuale esposizione dei corpi delle donne, fuori dalle sottovesti e dai vestiti a fiori.

La coppia Fellini-Pinelli, responsabile di tanti film importanti dell’epoca, costruisce una sceneggiatura solida e sostenuta dalla partecipazione di alcuni dei miglior caratteristi dell’epoca, dal grande Folco Lulli all’onnipresente John Kitzmiller (già in Paisà, in Tombolo ‒ Paradiso nero e in Vivere in pace di Luigi Zampa, 1947) che in virtù del suo status di ufficiale dell’esercito americano fece ottenere a Lattuada il permesso di girare a Livorno. Carla Del Poggio perde in Senza pietà l’aura rassicurante di ragazza della porta accanto che le avevano donato le sue partecipazioni cinematografiche d’anteguerra. Il film segna anche la definitiva consacrazione di Giulietta Masina che, al suo primo ruolo importante, fu premiata con un Nastro d’argento. Esaurita la contingenza del momento, ed evaporato il comune sentire dell’ispirazione neorealista, Lattuada lascerà prevalere l’ispirazione calligrafica e letteraria, a partire dal successivo Il mulino del Po (1949)”.
(Riccardo Ventrella, Enciclopedia del Cinema, 2004)

 

 

Luca Biscontini