Stasera in tv su Cielo alle 21,15 Piccolo Buddha, un film del 1993 diretto da Bernardo Bertolucci e tratto dall’omonimo romanzo di Gordon McGill. Prodotto da Jeremy Thomas, scritto e sceneggiato da Bernardo Bertolucci, Mark Peploe e Rudy Wurlitzer, con la fotografia di Vittorio Storaro, il montaggio di Pietro Scalia e Daniele Sordoni, le scenografie e i costumi di James Acheson e le musiche di Ryūichi Sakamoto, Piccolo Buddha è interpretato da Keanu Reeves, Alex Wiesendanger, Chris Isaak, Bridget Fonda, Ying Ruocheng, Greishma Makar Singh, Sogyai Rinpoche, Jo Champa. La prima mondiale del film si tenne a Parigi il 4 Novembre 1993, alla presenza dello stesso Dalai Lama, che per la prima volta entrò in un cinema. Per consentirgli di recarsi a dormire alle 21, come sua abitudine, la proiezione si svolse nelle ore del pomeriggio.
Trama
A Seattle, alcuni monaci provenienti dal Buthan chiedono ai genitori del bambino Jesse Konrad di accompagnare il piccolo nel Tibet, perché forse egli è la reincarnazione del Dalai Lama morto alcuni anni prima. Per far comprendere la loro fede gli regalano un libro che narra la storia del principe Siddharta, il Buddha, l’Illuminato, che viene a sua volta raccontata nel corso del film. Dagli “esami” effettuati nel monastero emerge che Jesse e altri due bambini orientali sono reincarnazioni del Lama.
Un’opera minore per Bertolucci? Probabilmente, ma sempre interessante e meritevole di una visione. Il film unisce la ricerca di alcuni monaci tibetani di un piccolo “candidato” che potrebbe essere la reincarnazione di un Lama ormai defunto e che li conduce da un inconsapevole bambino di Seattle al racconto delle esperienze del principe Siddharta e al suo percorso mistico e spirituale che lo condurrà a divenire il Buddha.
Il film è spezzato in due segmenti a livello narrativo e un po’ fatica a trovare un suo equilibrio: la parte americana è quella meno interessante, con personaggi non sempre ben definiti nelle loro motivazioni (il padre cambia parere in maniera troppo brusca riguardo al viaggio in Tibet del figlio, dopo il suicidio di un collega di lavoro), mentre i flashback sulla storia di Siddharta sono narrati come una favola piena di colori ma che deve indurre alla meditazione, e qui il regista sembra avere la mano più felice, così come nelle sequenze conclusive in Tibet, dove l’uso del colore si fa particolarmente ammaliante (Storaro conferma la sua maestria anche in questo film).
Rispetto al suggestivo fasto de L’ultimo imperatore, qui siamo forse un gradino al di sotto, ma non mancano certo sequenze che si raccomandano per la carica emotiva e per un linguaggio stavolta meno trasgressivo e forse più armonioso. Nel cast si fa notare la buona prestazione di Bridget Fonda, nel ruolo della madre del bambino, mentre il cantante Chris Isaac è volenteroso ma non memorabile nella parte del padre; Keanu Reeves è utilizzato in funzione decorativa, perché le scene dove appare sono più giocate sulla magnificenza di costumi, scenografie ed effetti speciali. Bertolucci ha fatto di meglio, ma il film è un tassello della sua opera all’insegna della riconciliazione spirituale con il mondo.
Luca Biscontini
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.