Stasera in tv su Cine34 alle 21 Boccaccio ’70 di De Sica, Fellini, Visconti e Monicelli

Stasera in tv su Cine34 alle 21 Boccaccio ’70, un film del 1962 in quattro episodi diretti da Vittorio De Sica, Federico Fellini, Mario Monicelli e Luchino Visconti. Nell’edizione estera l’episodio diretto da Monicelli fu eliminato dalla produzione; gli altri tre registi per solidarietà rifiutarono di recarsi al 15º Festival di Cannes, dove il film venne presentato fuori concorso. L’episodio di Federico Fellini è girato all’EUR. Prodotto da Carlo Ponti e Tonino Cervi, diretto da Mario Monicelli, Federico Fellini, Luchino Visconti e Vittorio De Sica, sceneggiato da Suso Cecchi D’Amico, Mario Monicelli, Italo Calvino, Giovanni Arpino, Tullio Pinelli, Federico Fellini, Ennio Flaiano, Luchino Visconti e Cesare Zavattini, Boccaccio ’70 è interpretato da Sophia Loren, Peppino De Filippo, Anita Ekberg, Tomas Milian, Romy Schneider, Marisa Solinas, Germano Gilioli, Romolo Valli.

Trama
Un sagrestano vince alla “riffa” la compagnia di Zoe, ma lei ha già deciso a chi concedersi. Il pio dottor Antonio è ossessionato dall’immagine di una donna sensuale su un cartellone pubblicitario, al punto da arrivare a perdere la ragione. Un conte viene coinvolto in uno scandalo, e l’amabile contessa lo ripaga chiedendo di essere debitamente ricompensata per ogni prestazione coniugale. Renzo e Luciana sono innamorati: ma quando trovano casa, vengono separati dagli orari di lavoro.

Rivoluzione culturale, boom economico, liberalizzazione dei costumi e anacronistiche battaglie della vecchia morale. Così si potrebbe riassumere Boccaccio ’70 (1962), l’irriverente e dissacrante “scherzo in quattro atti” ideato da Cesare Zavattini. Alla regia dei singoli episodi quattro grandi maestri del cinema italiano: Mario Monicelli, Federico Fellini, Luchino Visconti e Vittorio De Sica.

Federico Fellini con Le tentazioni del dottor Antonio si è concesso una vacanza. Si è voluto divertire, e ha saputo divertire, toccando da buon cattolico uno degli aspetti più grotteschi di certe campagne moralizzatrici. È riuscito a far recitare benissimo Peppino De Filippo e a dare alla Ekberg il modo di mostrare tutte le sue risorse, mettendo loro d’intorno una piccola folla di personaggi caratterizzati fino allo spasimo. Il regista difende La dolce vita con un chiaro e continuo riferimento ad essa. La difende da par suo: cioè attaccando in forze la posizione avversaria. La sua risulta una requisitoria spietata, cattiva e senza reticenze. Qua e là, si intende, e magari era inevitabile, questa voglia di aggiungere nuovi dati, nuovi cachinni all’orazione, porta il discorso un po’ troppo sopra le righe: anche se Fellini, con furbe e intelligenti virate di tipo surrealistico, riesce a far passare attraverso la cruna d’ago anche alcuni troppo vistosi cammelli.

In Renzo e Luciana, Mario Monicelli mette in scena le peripezie di una coppia di giovani innamorati che, decisi a sposarsi, sono costretti a farlo in gran segreto dal momento che il contratto di lavoro di Luciana (Maria Solinas) le vieta espressamente di contrarre nozze. Tra i molteplici risvolti della vicenda si aprono finestre nitidissime sulla dolceamara realtà degli anni ’60: le (apparentemente) infinite possibilità che la nuova fase di espansione economica sa offrire vengono mostrate attraverso la gabbia delle loro contraddizioni. Così il prezzo per una vita coniugale “normale”, allo scoperto e nell’intimità di una casa che non sia condivisa con genitori e sorelle è lavorare tutto il giorno (lei) e tutta la notte (lui) e incontrarsi all’alba per scambiarsi un frettoloso buongiorno (o buonanotte) in cui l’unico argomento di conversazione è, ovviamente, il denaro.

L’atto più conosciuto, discusso e forse significativo del polittico è il terzo, ovvero quello di Luchino Visconti, intitolato Il lavoro. Pupe (Romy Schneider) e il conte Ottavio (Thomas Milian) sono sposati da poco più di un anno quando esplode lo scandalo, spiattellato sulle prime pagine di tutti i rotocalchi, del coinvolgimento di Ottavio in un giro di ragazze-squillo. La reazione composta e raffinata della giovane contessa nasconde una ferita profonda che sfocerà in una soluzione di compromesso tutt’altro che convenzionale. Graffiante satira sociale della nobiltà milanese (classe di appartenenza di Visconti stesso) in forma di elegante parodia, il tutto meravigliosamente condito con un’esplicita volontà di sfida da parte del regista all’organo della censura cinematografica, Il lavoro condensa e addirittura esplicita a parole (quelle in particolare di una battuta della protagonista) non solo il senso che permea l’intera pellicola, ma anche e soprattutto il sentire profondo di una società che muove a passi spediti verso la modernità.

Con il quarto e ultimo atto, La riffa, Vittorio De Sica chiude il sipario in un clima da perfetta commedia all’italiana, cui contribuisce notevolmente l’interpretazione di Sophia Loren nei panni della protagonista (Zoe), bella e desideratissima titolare di un baraccone di tiro a segno, che, per incrementare i suoi guadagni, è solita offrirsi come premio speciale in una lotteria clandestina. Il tema musicale del mediometraggio (Soldi soldi soldi di Betty Curtis) è continuamente canticchiato da Zoe, inserendo perfettamente la sua vicenda e, di riflesso, quella di tutti i personaggi del polittico, nella cornice metaforica che lega tra di loro queste moderne novelle di impostazione boccacciana. Una nuova peste dirige le azioni e ossessiona la mente di uomini e donne provenienti da ogni classe sociale: il desiderio di guadagno.

 

 

Luca Biscontini