Stasera in tv su Cine34 alle 23 Profondo Rosso di Dario Argento

Stasera in tv su Cine34 alle 23 Profondo rosso, un film del 1975 diretto da Dario Argento. L’opera segna, all’interno del percorso artistico del regista, il passaggio fondamentale tra la fase thriller, alla quale appartengono L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio (il film doveva infatti intitolarsi La tigre dai denti a sciabola per continuare la saga zoonomica), e quella horror cominciata con Suspiria. Fin dalla sua uscita nelle sale, avvenuta il 7 marzo 1975, la pellicola ebbe un ottimo successo di pubblico: si segnalano i terrificanti effetti speciali, cui mise mano anche Carlo Rambaldi, e la musica del gruppo rock progressive dei Goblin. Alcune composizioni sono firmate anche dal pianista jazz Giorgio Gaslini. Profondo rosso nasce, come altri film di Argento, durante le battute finali della realizzazione della sua opera precedente, l’atipico Le cinque giornate. L’idea di base, la medium che, durante una seduta, percepisce i pensieri di un assassino, risale addirittura ad una prima stesura di Quattro mosche di velluto grigio. Argento lavora febbrilmente sulla sceneggiatura ma, insoddisfatto del risultato, si fa aiutare da Bernardino Zapponi, tanto che alla fine ne risulta una sceneggiatura a quattro mani. Zapponi, intervistato, si attribuisce l’idea di aver voluto rendere molto fisico l’orrore del film e di legarlo ad un contesto realistico e comune, mentre attribuisce ad Argento il lato fantastico della vicenda (la medium, i fantasmi della villa, il disegno della parete, lo scheletro nella stanza murata, lo svolgimento degli omicidi). La scelta di Clara Calamai (una delle maggiori dive del cinema italiano durante il ventennio fascista) per interpretare l’assassina non è casuale: Argento voleva infatti un’attrice anziana, un tempo famosa ma adesso dimenticata, in parte per la lunga assenza dallo schermo, in parte perché passata di moda. Nella scena in cui Marc Daly si reca per la prima volta in casa della madre di Carlo, le foto che questa gli mostra non sono delle immagini fittizie ma sono proprio le vere fotografie di Clara Calamai, che la ritraggono sui set dei suoi vecchi film degli anni trenta e quaranta. Profondo rosso fu l’ultima pellicola interpretata dall’attrice. Con David Hemmings, Daria Nicolodi, Clara Calamai, Macha Méril, Eros Pagni, Giuliana Calandra, Gabriele Lavia.

Trama
Marc Daly, un giovane pianista, è testimone dell’omicidio di una parapsicologa, ma non sa individuare l’assassino. Si mette a indagare per conto proprio, aiutato dall’amica Gianna, ma ben presto la situazione si fa intricatissima: tutte le persone che potrebbero aiutarlo nella soluzione del mistero rimangono vittime dell’efferato killer.

Profondo rosso è il primo vero ‘classico’ della carriera di Dario Argento. Baciato dal successo già al primo film, L’uccello dalle piume di cristallo (1970), il regista romano aveva proseguito nel segno di una definizione paternalistica e riduttiva (sostanzialmente quella di ‘Hitchcock all’italiana’) con altri due thriller piuttosto simili al primo, grazie ai quali si comporrà la cosiddetta ‘trilogia degli animali‘ (Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio, entrambi del 1971). L’esigenza di un cambiamento e di un riconoscimento autoriale lo porta quindi, per la prima e unica volta, a uscire dai generi a lui più congeniali. Ma Le cinque giornate (1973) è un fallimento sotto tutti gli aspetti e Argento sente il bisogno di dimostrare il proprio valore, recuperando e sistemando i fili del discorso lasciato in sospeso.

Scritto con lo sceneggiatore Bernardino Zapponi ‒ caro a Federico Fellini ‒ Profondo rosso risulterà essere una sorta di catalogo stilistico e tematico delle ossessioni del suo autore, nonché una brillantissima maniera per chiudere i conti con il passato e gettare un ponte verso la successiva evoluzione in chiave horror. Si comincia proprio dall’omaggio hitchcockiano, con la coppia assassina composta da madre e figlio ‒ legati da morbosissimo affetto ‒ e le reminiscenze di traumi infantili che perseguiteranno le generazioni a venire: come dire, si comincia citando Psycho Marnie (1964). Immediatamente, però, la psicanalisi generica del maestro viene a confondersi nelle torbide acque della parapsicologia, e l’impulso omicida rivela un fondo soprannaturale di stampo diabolico.

Prima ancora delle streghe di Suspiria (1977) e delle sataniche apparizioni di Inferno (1980), l’assassino di Profondo rosso, ancorché apparentemente in carne e ossa, possiede doti di ubiquità, onniscienza e implacabilità del tutto sovrumane (specie se pensiamo che si tratta di un’anziana e inerme signora). Il teatro delle sue imprese, per le quali Argento dispiega tutto il suo talento figurativo e la sua immaginazione, è quello di una Roma spettrale, resa ancor più perturbante da contaminazioni torinesi (altra città in cui si svolgono le riprese del film), cui si aggiungono vecchie ville diroccate e interni postmoderni, il tutto condito da frequenti riferimenti pittorici all’iperrealismo di Edward Hopper, al tardo espressionismo di Edvard Munch o alla forzata naïveté della pittura da strada contemporanea. Dentro a questo scenario, ritmato dalla musica di Giorgio Gaslini e dei fedeli Goblin che riprendono nenie infantili e le sviluppano elettronicamente in direzioni orrorifiche, c’è una messa in scena sontuosa e barocca.

L’omicidio diventa occasione di performance fantasmagoriche (i riferimenti al precinema ‒ ad esempio nelle ombre cinesi del prologo ‒ sono una costante del cinema di Argento) che finiscono per sublimare il materiale grandguignolesco in virtuosismo registico, grazie anche alle interpretazioni di attori, per lo più di provenienza teatrale, di altissimo livello. Fra essi spicca, naturalmente, David Hemmings, citazione vivente da Blow- up di Michelangelo Antonioni che costituisce il principale punto di riferimento di questo film. Prima di tutto, infatti, Profondo rosso è la storia di un uomo che assiste casualmente a un avvenimento, sa di avere visto qualcosa di essenziale ma, non riuscendo a far affiorare il dettaglio decisivo, indaga per colmare una lacuna della propria memoria fotografica. Una riflessione sulla natura dell’immagine cinematografica e sul rapporto complesso che la lega alla psiche dello spettatore, riflessione sul rimosso che viene tematizzata e ruota dunque su se stessa in modo straordinariamente armonico. Per questo il film ha dato vita a una serie impressionante di tentativi di imitazione ‒ alcuni peraltro ottimi (da La casa dalle finestre che ridono, Pupi Avati, 1976, a Shock, Mario Bava, 1977) ‒ e ha indotto il suo autore a realizzarne una sorta di sequel mascherato a distanza di circa venticinque anni (Nonhosonno, 2001).

 

 

Luca Biscontini