Stasera in tv su TV8 alle 21,25 Lezioni di piano di Jane Campion

Stasera in tv su TV8 alle 21,25 Lezioni di piano, un film del 1993 scritto e diretto da Jane Campion. Ha vinto la Palma d’oro al 46º Festival di Cannes e tre Premi Oscar nell’edizione del 1994: migliore attrice (Holly Hunter), migliore attrice non protagonista (Anna Paquin) e migliore sceneggiatura originale (Jane Campion), rimanendo fino ai Premi Oscar 2016 il film australiano con il maggior numero di Oscar vinti. Con Holly Hunter, Harvey Keitel, Sam Neill, Anna Paquin.

Trama
Ada, muta dall’età di nove anni, giunge in Nuova Zelanda, sposata per procura con Stewart, un piccolo possidente. Con lei ci sono la figlioletta Flora, i bauli, un pianoforte. Stewart fa abbandonare il pianoforte sulla spiaggia perché difficile da trasportare lungo gli impervi sentieri dell’isola. Baines, un bianco che si è avvicinato ai costumi dei Maori, aiuta Ada a riaverlo. Ottenuto da Stewart il piano, chiede a Ada di dargli lezioni, che prevedano una disponibilità “controllata” della donna al gioco erotico. Per continuare a suonare, lei accetta. Baines le restituisce il pianoforte; tra i due si stabilisce una relazione che Flora osteggia. La relazione sembrerà sfociare verso la tragedia.

Di donne mute non ne abbiamo viste molte in pellicola (Johnny Belinda su tutti). Nella letteratura abbiamo un esempio fulgido, la Marianna Ucrìa di Dacia Maraini. Poi c’è Ada, la dolente e falsamente frigida eroina di questo memorabile film al femminile. Jane Campion, in gran forma, esplora i territori pseudo-tropicali della Nuova Zelanda e li celebra come luoghi avvolti in suggestive luci nei quali avventurarsi è quanto mai ardito. Li fa abitare dai due personaggi più vigorosi ed importanti della storia, mamma e figlia. E il film impressiona per la sua originalità raffinata ed elegante, rifacendosi a vari modelli, citati con accurata diligenza (su tutti le atmosfere intense della scrittura delle sorelle Bronte), e i temi di fondo sono quelli cari al melodramma, con qualche ingrediente più intrigante e bizzarro: c’è il ricatto amoroso imposto dall’altro (un maori convertito che s’invaghisce dell’inquietudine di Ada); ci sono gli sguardi languidi e sognanti; c’è la pioggia (e Dio solo sa quanto sia importante e funzionale la pioggia battente in film del genere); c’è il rapporto famigliare labile e irrequieto; c’è la musica, che puntella con energica passione gli ambienti; c’è una sorta di esotismo nei luoghi; e c’è la follia, rappresentante il culmine della storia.

Sottile e strisciante condizione necessaria nel melodramma, la follia ha qui i connotati di lui, il marito di Ada, entrato in un tunnel senza ritorno a causa dell’assenza di un appagamento amoroso e della scoperta del tradimento. La scena che ne descrive lo spannung è a dir poco spaventosa: ciò che per Ada è il veicolo per soddisfare la propria ragione di vita (le dita), viene simbolicamente (un solo dito, ma è il gesto a ripugnare) tagliato, per far capire come il maschio sia più forte e le convenzioni del matrimonio più importanti di qualunque altra cosa. È anche un film femminista, ma non solo. Sensuale e misterioso, violento e incandescente, può apparire freddo solo a chi non ne percepisce l’ardente fuoco che vi brucia e si limita ad ammirarne lo stile formale e livido (ruvida e sporca fotografia di Stuart Dryburgh, costumi di Janet Patterson). Ultimi venti minuti di grande potenza, inquieta e nervosa, sfocianti in un finale speranzoso ed enigmatico con salvataggio (però c’è il fantasma della morte sempre presente). Holly Hunter è fantastica e ha fatto incetta di premi. Grandi prove per il cerebrale Harvey Keitel e il teso Sam Neil e lodi unanimi alla impetuosa Anna Paquin. Ed adeguato uso delle ottime e suggestive musiche di Michael Nyman.

 

 

Luca Biscontini