Stasera in tv The Blues Brothers di John Landis

Stasera in tv su Twenty Seven (canale 27 DT) alle 23 The Blues Brothers, un film commedia musicale del 1980 diretto da John Landis e interpretato da John Belushi e Dan Aykroyd. La pellicola occupa un posto di rilievo nella storia del cinema, grazie al suo cast di musicisti e cantanti, alla trama affine a uno spettacolo musicale a tutti gli effetti e alla interpretazione dei protagonisti Belushi e Aykroyd. I due interpretano i fratelli Jake “Joliet” Blues (John Belushi) ed Elwood Blues (Dan Aykroyd), personaggi inventati ai tempi delle loro prime collaborazioni al celebre programma televisivo statunitense Saturday Night Live; diventarono in breve tempo famosi in tutto il mondo, inconfondibili negli onnipresenti vestiti neri e occhiali da sole Ray-Ban Wayfarer. Il film conquistò il Guinness dei primati per la scena con il maggior numero di incidenti d’auto. The Blues Brothers costò circa 30 milioni di dollari, inizialmente stentando al botteghino. In poco tempo, tuttavia, si formò un culto intorno alla pellicola. Il 20 e 21 Giugno 2012, in occasione del centenario della major produttrice e del trentennale della morte di John Belushi, il film è stato riproposto in versione restaurata in tutto il mondo. Con John Belushi, Dan Aykroyd, John Candy, Carrie Fisher, James Brown, Ray Charles, Aretha Franklin, Cab Calloway.

Trama
Jake Blues (John Belushi) è appena uscito di galera. Elwood (Dan Aykroyd), suo fratello, gli spiega che, se non si trovano 50 mila dollari da versare alle tasse entro pochi giorni, l’orfanotrofio di Chicago nel quale sono cresciuti sarà costretto a chiudere. Alla messa rhythm’n’blues del reverendo James Brown, per Jake si apre uno spiraglio: ricostituire la vecchia “Blues Brothers Band”, organizzare un concerto e con il ricavato pagare gli arretrati delle tasse. Più facile a dirsi che a farsi, naturalmente.

“Al suo quarto lungometraggio dopo Slok, Ridere per ridere e Animal House, Landis si mette al servizio del “progetto Blues Brothers” senza dimenticare la sua verve caustica e la sua capacità di restituire una lettura “politica” della società americana pur nascondendo il suo estremismo tra le pieghe di un cinema apparentemente innocuo e “demenziale”. Non a caso, dei suoi tre film precedenti i primi due erano parodie di genere (il secondo addirittura scritto da quei portabandiera della comicità paradossale e dissacratoria che furono i fratelli Abrahams e David Zucker, poi autori di una lunga serie di “classici” a partire da L’aereo più pazzo del mondo) e il terzo una sporazione della rivista satirica National Lampoon, nata nel 1970 sulla falsariga della celeberrima Mad.

Da un regista che forse senza volerlo davvero ha impresso un cambiamento radicale non solo alla commedia ma anche al cinema di genere (la portata di innovazione interna di Un lupo mannaro americano a Londra attende ancora un quarto di giustizia), The Blues Brothers è un film “perfettamente in linea con lo spirito ribellistico e irriverente dei tempi” (P. Mereghetti), ma anche un attacco frontale e preveggente a un’America già sull’orlo del baratro della follia reazionaria degli anni Ottanta a venire: la descrizione sulfurea delle istituzioni tutte (e dei loro rappresentanti) fa il paio con quella di una società civile rappresentata come quintessenzialmente ignorante, razzista e alimentata dal pregiudizio. Questa tensione è palpabile, e percorre a livello carsico tutto il film, costituendone una seconda spina dorsale laddove la prima, logicamente, è quella più scatenata e (solo in apparenza) superficiale di un divertissement in grado di rielaborare le istanze del musical (pensate a come partono e si integrano nella narrazione i segmenti cantati e coreografati, posizionati nella scansione narrativa all’altezza delle svolte più cruciali del racconto, inclusa l’apoteosi finale in carcere sulle note -ovviamente- di Jailhouse Rock) e di costruire per accumulo un meccanismo comico che tiene conto con leggerezza anche della lezione dei maestri del cinema muto (le gag migliori sono tutte non verbali: vedi la storica sequenza in cui Belushi/Jake si toglie per l’unica volta gli occhiali).

Una progressione dinamica nello sconquasso e nel finimondo che certamente origina da quella messa in atto sessant’anni prima da Chaplin, Keaton e Stanlio e Ollio (di cui Belushi e Aykroyd sono una sorta di doppio aggiornato e figlio delle sotto/controculture della seconda metà del Novecento): perché l’unicità di The Blues Brothers sta anche nel suo essere stato un esempio rielaborato e “galleggiante” di un cinema che già all’epoca in cui uscì non esisteva più. E, oggi, di rappresentare un cinema che rimpiangiamo ma che forse non è davvero mai esistito. Nonché, come ricorda la giornalista Sara Sagrati, di essere un film “su due bianchi che suonano musica nera, comandano dei musicisti neri, sfruttano il prossimo e tutto per aiutare delle suore bianche”. Che a voler contestualizzare come usa in questi giorni, magari i veri nazisti dell’Illinois potrebbero pure essere loro”.
(Filippo Mazzarella, Corriere della Sera, 20 Giugno 2020)

 

 

Luca Biscontini