“Succede che a volte l’immaginazione può superare la realtà, e qualcuno può rimanerci imprigionato in mezzo.”
Stefano Bessoni è quello che io tendo a definire un vero e proprio Artista con la A maiuscola. Illustratore, animatore stop-motion e regista, l’ho conosciuto ed amato fin da subito grazie al suo secondo lungometraggio del 2008, Imago Mortis, una tetra storia dell’orrore che gira intorno all’idea di poter catturare le immagini immortalate sulle retine delle persone morte grazie ad uno strumento infernale conosciuto come tanatoscopio, ovviamente prima dell’invenzione della fotografia. Avendo Bessoni studiato scienze biologiche, è indubbio il suo amore sia per l’anatomia che per la zoologia, che coniuga con l’altra sua grande passione, quella delle fiabe ed il mondo dell’infanzia. Così, nel 2010, nasce Krokodyle, definita da lui stesso, nella tagline che accompagna la locandina, “una storia strana, molto personale e senza una morale, forse macabra e un po’ paranormale”. Concepito inizialmente come una sorta di cortometraggio, Krokodyle prende vita da un’idea del regista, che lo considera come un grosso contenitore dove buttar dentro appunti, sketch ed idee. Nasce, quindi, con questa struttura – contenitore, che viene però, man mano che il lavoro procede, contaminata da un’ulteriore struttura narrativa, altamente autobiografica.

Un buffo ometto, Theophilus, sta raccontando a un interlocutore, che noi non vediamo né sentiamo mai, la storia del giovane filmmaker polacco Kaspar Toporski, attratto dal macabro ed in attesa di poter realizzare il suo primo film, e dei suoi amici Helix, la fotografa della morte, Schulz, singolare sarto ossessionato dall’idea di creare la vita attraverso gli esperimenti scientifici, e Bertolt Kleist, regista fallito che dopo un unico film andato male vive di ricordi e rimpianti senza riuscire a fare più nulla. Illuminato da Schulz, un po’ scienziato pazzo un po’ alchimista, sulla riuscita del suo esperimento, Kaspar si metterà alla ricerca della mitologica mandragola, con la quale ha in testa di creare un homunculus, leggendaria creatura alchemica. Ma nulla è come sembra, e le cose intorno a lui cominciano pian piano a prendere connotati diversi con la sua maggior presa di consapevolezza.

Kaspar Toporski, interpretato dal bravo attore piemontese Lorenzo Pedrotti che aveva esordito al cinema proprio con Bessoni in Imago Mortis, per poi arrivare ad essere diretto da registi quali Dario Argento (Giallo, 2009) , i Manetti Bros (Paura 3D, 2012) e Ridley Scott (Tutti i Soldi del Mondo, 2017), è senza dubbio una sorta di alter ego dello stesso regista, e anche gli altri personaggi che gli gravitano attorno rappresentano sfaccettature diverse di questo alter ego. A metà tra demoniaca e dolcissima, Helix, la fotografa nipponica attratta in maniera quasi macabra e perversa dalla morte, è interpretata dalla brava attrice giapponese Jun Ichikawa, che arriva a Bessoni e ad Imago Mortis dopo essere passata dalla direzione di Ermanno Olmi (Cantando dietro i paraventi, 2003), Dario Argento (La Terza Madre, 2007), Louis Nero (La Rabbia, 2006). Anch’egli mutuato da Imago Mortis, Franco Pistoni interpreta Schulz, folle sperimentatore ossessionato dai manichini, che prende il nome dallo scrittore e disegnatore polacco Bruno Schulz, che lui adora a tal punto da credere di essere realmente uno dei suoi personaggi. Dopo un esordio al cinema come monaco ne Il Nome della Rosa di Jean-Jacques Annaud nel 1986, Pistoni verrà poi diretto da nomi del calibro di Ruggero Deodato (The Barbarians, 1987), Massimo Troisi (Le Vie del Signore sono Finite, 1987), Federico Zampaglione (Nero Bifamiliare, 2007), Alessandro Baricco (Lezione Ventuno, 2008) e Matteo Garrone (Il Racconto dei Racconti, 2015). Il suo è senz’altro il personaggio più ambiguo ed inquietante del film, come del resto lo era stato in Imago Mortis, dove interpretava Girolamo Fumagalli, l’inventore del famigerato tanatoscopio. Ed infine c’è Bertolt Kleist, introverso amico del protagonista, che passa le giornate a piangersi addosso in un vecchio set dismesso, bevendo e lamentandosi di sentirsi già morto dopo il fallimento del suo unico film e le innumerevoli critiche negative che ne sono seguite. Kleist, se da una parte sembra invidiato da Kaspar, in realtà rappresenta il suo alter ego negativo, quello che lui spera di non essere e di non diventare mai, l’incarnazione del giovane filmmaker che non regge il peso delle critiche e si deprime senza più reagire, perdendo completamente ogni sorta di ispirazione e velleità artistica. Ad interpretarlo un altro attore della scuderia di Imago Mortis, il romano Francesco Martino, che vanta anche lui un esordio col botto ne La Finestra di Fronte di Ferzan Özpetek (2003) e diverse collaborazioni col regista britannico Peter Greenaway, uno dei miti indiscussi di Bessoni per l’affinità di tematiche e l’instancabile ricerca nella manipolazione delle immagini. Citazioni d’obbligo sono quelle all’abile Briseide Siciliano, che porta a termine un perfetto lavoro scenografico squisitamente dark ed attento ai minimi dettagli, al curatore degli effetti speciali Leonardo Cruciano, ed al direttore della fotografia Ugo Lo Pinto.

È quindi un viaggio onirico nella psiche, nei sogni, nei desideri e negli incubi del regista, questo Krokodyle, che ci porta in tanti mondi paralleli nei quali alla fine non si capisce mai con certezza dove stia la realtà, e se, in effetti, una realtà ci sia o no. Il giovane filmmaker protagonista vive tra spettri e fantasie, ed alla fine lui stesso è un personaggio avvolto da un’aura di mistero non comune, tanto da fargli pensare che l’unico modo per affermare la sua reale presenza nel mondo sia quello di tramandare il suo film ai posteri. Ma a chi lo affiderà? Ad un Homunculus di sette anni che sembra un vecchietto e che è convinto di essere stato concepito in vitro attraverso sangue umano e sugo di mandragola? Sarà credibile? Qualcuno davvero si è interessato alla sua sorte, o è tutto frutto della sua fantasia? Ma se qualcuno non esiste può avere una fantasia, o vive solo nella fantasia di qualcun altro, che forse lo ricorda, forse lo ha addirittura inventato di sana pianta? Tanto introspettivo, forse troppo per alcuni, questo Krokodyle, che ci porta spesso a domandarci cosa stia succedendo, ma girato, fotografato ed interpretato talmente bene, con l’innesto dei disegni e delle creazioni in stop-motion di Bessoni, che alla fine lo si potrebbe guardare anche senza audio talmente vale intrinsecamente come opera d’arte visiva. La riflessione disillusa sulla sorte che tocca oggigiorno a tanti giovani filmmaker o aspiranti registi italiani, soprattutto nell’ambito dell’indipendente, è davvero toccante e desolantemente realistica.

Scheletri di coccodrilli, che il protagonista ama da quando il papà da piccolo lo portò ad ammirarli allo zoo, marionette e macabri bambolotti, schizzi che ricordano molto il modus operandi di Tim Burton: c’è questo e molto altro intorno, tutto che concorre a farci entrare e tenerci ben ancorati a questo mondo irreale, fantastico, da fiaba nera, gotica, che non prevede un totale lieto fine. Bessoni evade volutamente dalle strette maglie del cinema mainstream, nel quale era entrato con Imago Mortis senza avere il successo sperato, per usare una totale libertà immaginativa e produttiva, realizzando una sorta di suo diario segreto per immagini, che tira fuori tutte le sfaccettature del suo io artistico e creativo. Ne emerge il suo amore per il meraviglioso, il grottesco, la criptozoologia, il mondo delle fiabe, che concorre a creare un universo oscuro e spaventoso dove lui tuttavia si trova piuttosto a suo agio, nonostante i guizzi di follia che ogni tanto si leggono negli occhi del suo protagonista/doppleganger. Il Toporski di Bessoni, che sfugge all’arida realtà che lo circonda e che non ama, creandosi un mondo diverso e molto più affine al suo animo, ricorda un altro personaggio simile, un sognatore quasi patologico, creazione di un altro regista italiano che sempre lo immerge nelle atmosfere torinesi: Hans, dell’omonimo film di Louis Nero, classe 2006. Anche qui la fuga dalla realtà è sublimata da un universo parallelo dove per un certo periodo si vive bene e convinti che quella sia in effetti la nostra vera vita. Ed in entrambe le pellicole la città esoterica per eccellenza d’Italia, Torino, fa da sfondo alle vite, vere ed immaginarie, dei due insoddisfatti protagonisti, che se la plasmano a loro piacimento o la fanno divenire teatro dei propri incubi più intimi.

È dunque un esperimento di cinema indipendente connotato da una fortissima vena autoriale, questo Krokodyle, che, se non sarà compreso ed amato nalla Netlix Generation, sarà invece senz’altro apprezzato da coloro che sanno fruire di un’opera d’arte anche qualora evada dalla struttura narrativa e dallo storytelling tradizionali. Bessoni se ne frega di piacere, qui ci mostra liberamente quello che piace a lui, il suo mondo, i suoi riferimenti, le sue passioni, le sue ossessioni e paure: in qualche modo si mette a nudo, si confida con noi, si sfoga, e quando mai uno sfogo viene fatto per piacere agli altri? Lui è così, è questo, che ci piaccia o meno. Krokodyle è interiorità assoluta, pura essenza. Lo evitino come la peste coloro che cercano l’azione e il jumpscare. Lo cerchino, invece, tutti coloro che hanno voglia e bisogno di sognare e di immaginare. Ed anche, perché no, di avere paura, perché in alcuni momenti la mente umana fa più paura di tanti Jason e Leatherface. Se cercate un film che non sia minimamente convenzionale, allora Krokodyle fa al caso vostro, senza ombra di dubbio. La storia c’è, ma non è drammatizzata, non segue una narrazione regolare, è raccontata attraverso gli appunti estemporanei del narratore stesso, i suoi disegni, gli schizzi e tutto il resto, da Alice a Pinocchio, portandoci in un girotondo di immagini e musiche che ci solleva per un po’ dal piattume quotidiano sospendendo intorno a noi il tempo e lo spazio precostituiti. Grazie alla sua affinità con gli ambienti oscuri ed opprimenti, specchio di uno stato d’animo sempre in subbuglio, alla sua ossessione per la morte ed i morti, Bessoni sottolinea con efficacia come il suo terrore maggiore sia quello del decesso ideologico e produttivo del cinema, e dell’arte in generale, a causa di un sistema giudicante da troppo tempo fisso su tematiche e schemi ormai stereotipati, stra abusati ed aridi. Forse disilluso, ma neanche troppo, aperto verso il futuro. Speriamo.
Il film è attualmente disponibile in dvd o in chiaro su YouTube.
https://www.imdb.com/it/title/tt1662519
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