Steno: in ricordo di Stefano Vanzina

Steno, ovvero un viaggio in fotogrammi all’insegna del ricordo di colui che ha regalato alla Settima arte tricolore, tra gli altri, il super classico sordiano Un americano a Roma e la saga del Piedone incarnato da Bud Spencer.

Colui che, con centocinquanta film scritti e settantacinque diretti, viene in questo caso celebrato da Raffaele Rago – già autore, tra l’altro, di Segretarie, una vita per il cinema – attraverso un collage di immagini di repertorio, vecchie riprese e, soprattutto, conversazioni con coloro che hanno avuto modo di conoscerlo o di lavorarci durante la sua invidiabile carriera.

Dal premio Oscar Giuseppe Tornatore a Neri Parenti, il quale racconta cosa imparò sul set da lui; passando per Marco Risi, Teo Teocoli, Pino Ammendola, Eleonora Giorgi, Lino Banfi, Giovanni Soldati e Diego Abatantuono, che abbiamo anche modo di vedere estratti presi da Sballato, gasato, completamente fuso e Fico d’India. Mentre Massimo Ranieri e Claudio Amendola rievocano la lavorazione della mini-serie televisiva L’ombra nera del Vesuvio e Maurzio Micheli dichiara che per lui quel prolifico cineasta corrispondente al nome di battesimo Stefano Vanzina era il Billy Wilder italiano.

Nome di battesimo che utilizzò soltanto per firmare La polizia ringrazia, apripista del filone poliziottesco nostrano, in modo che il pubblico non pensasse si trattasse di una pellicola da ridere, considerando che stiamo parlando di uno dei massimi esponenti della Commedia all’italiana. La Commedia all’italiana il cui vero e proprio inizio, come precisa il figlio Enrico Vanzina, venne rappresentato proprio dal Guardie e ladri co-diretto insieme a Mario Monicelli; con quest’ultimo che si dedicava maggiormente al lato tecnico e Steno concentrato sugli attori. Perché sapeva consacrare la bravura dell’attore comico, come pure riusciva a mettere a loro agio le attrici nella comicità; oltre ad essere convinto del fatto che nella commedia la macchina da presa non doveva farsi sentire.

Ed è sempre Enrico Vanzina a parlare sia della madre che del nonno Alberto; man mano che sullo schermo scorrono vecchie interviste al compianto fratello Carlo e che, nel mucchio prendono la parola Vittorio Maciocie, direttore del quotidiano Il Giornale, le produttrici Caterina D’Amico e Sandra Infascelli e i musicisti Umberto Smaila, Guido De Angelis e Fabio Frizzi, il quale rivela come nacque il mitico tema di Febbre da cavallo.

Il tutto, tra momenti di Totò diabolicus, Un militare e mezzo e Totò a colori (primo film italiano non in bianco e nero), per andare alla scoperta di un regista sempre elegante che metteva timidamente i piedi in un mondo di grandissimi e che aveva capito che l’umorismo non è esclusivamente romano. Regista che, del resto, iniziò a lavorare proprio come umorista sulle pagine della pubblicazione satirica Marc’Aurelio, dove poi assunse Federico Fellini, e di cui la godibile e interessante oltre ora e dieci di visione offerta da Steno ci consente di ascoltare sia la cugina Tilli che la grandissima Giovanna Ralli, secondo la quale sarebbe stato molto orgoglioso dei figli. Chi non lo sarebbe di coloro che ci hanno regalato autentici cult del calibro di Sapore di mare, Vacanze di Natale e Il cielo in una stanza?

 

 

Francesco Lomuscio