STORIA DEL CINEMA DI FANTASCIENZA: “IL GIORNO DEI TRIFIDI”

Questo film è del 1963, ma tutto sommato risente ancora dello stile “anni ‘50”, dove le invasioni aliene di ogni tipo e genere erano all’ordine del giorno (ovviamente al cinema).
I terrestri si trovano ad assistere ad uno spettacolo di rara bellezza:  una insolita pioggia di meteoriti luminose che fa rimanere la maggior parte della popolazione mondiale con il naso all’insù.


Ma purtroppo si tratta di un tragico inganno: infatti il suggestivo spettacolo priva della vista tutti coloro che vi hanno assistito. E c’è di peggio: le meteore trasportavano spore dalle quali sono germogliate gigantesche piante carnivore e… semoventi. E una popolazione ora composta in maggioranza di non vedenti è facile preda delle piante aliene.
Non tutti però hanno potuto vedere le famigerate meteore… per loro fortuna. Uno di essi è il marinaio Bill Masen (Howard Keel), che per un incidente ha rischiato la vista ed era ricoverato in ospedale con gli occhi bendati proprio durante quella notte. Con notevole sgomento si trova a doversi togliere da solo le bende e a constatare la situazione che si è creata intorno a lui: quasi tutta la popolazione è cieca, e i trifidi, le piante aliene, spadroneggiano ovunque.
In breve tempo Bill incontra altre persone ancora dotate della vista (sempre per cause fortuite), come la giovane Nicole (Christine Durrant) e una ragazzina di nome Susan (Janiona Faye).


Formato un piccolo gruppo (insieme ad altre persone rimaste invece cieche), il loro obiettivo diventa raggiungere la costa per venire soccorsi dalla marina militare e sfuggire all’assedio delle piante carnivore.
Parallelamente alla vicenda di Bill e degli altri vediamo quella di una coppia, Tom (Kieron Moore) e Karen (Janette Scott) che, rimasti intrappolati in un faro (ma ancora dotati della vista), cercano di capire come si possono combattere e distruggere i trifidi. Alla fine scopriranno, per puro caso, che le piante aliene si liquefanno letteralmente al contatto con l’acqua marina… questa “sorpresa” finale che risolve tutto era un altro tratto caratteristico della fantascienza anni ’50: chiaramente l’ispirazione viene dal finale della “Guerra dei mondi”, dove i marziani vengono uccisi dal terribile virus del raffreddore, sopportabile per gli umani ma letale per loro. Se l’idea originale di H. G. Wells poteva essere davvero sorprendente, ogni ripetizione rischia fatalmente di essere banale.
In ogni caso il film è ben realizzato e si lascia vedere volentieri, alla fine si torna al solito discorso, ovvero che è sempre meglio di molta roba girata oggi, visivamente perfetta ma con molto poco mordente.


Da segnalare tra gli interpreti secondari una breve apparizione di Carole Ann Ford (nel ruolo di Bettina, una ragazza rimasta cieca), che poco dopo questo film avrebbe avuto un ruolo “storico”: quello della nipote del Dottore nella celebre serie “Doctor Who”, che sarebbe iniziata a Novembre di quello stesso anno.
Il film ha già avuto due remake televisivi (come mini-serie) nel 1981 e nel 2009, e attualmente si parla di un remake cinematografico, perfettamente coerente con l’ossessiva corsa al remake di questi ultimi anni.

Il romanzo

Questo film era tratto da un romanzo pubblicato 12 anni prima e scritto da un autore notevole: John Wyndham. Wyndham aveva pubblicato nel 1957 un altro romanzo, “The Midwich Cuckoos” dal quale era stato tratto nel 1960 il film “Il villaggio dei dannati” (molto ma molto più inquietante, anche per il tema trattato).
Nel caso del “Giorno dei Trifidi” il confronto tra il film e il romanzo è decisamente più impietoso, come a volte avviene.
Nel romanzo i trifidi sono piante create dagli uomini stessi, che semplicemente vanno fuori controllo a seguito del caos creatosi con l’accecamento della maggioranza dell’umanità. Non vi è quindi alcun nesso tra le piante e le famose meteoriti o quello che erano, se non il dubbio (ventilato verso la fine del romanzo) che anche le meteoriti, con le relative conseguenze, fossero un esperimento umano sfuggito al controllo.
In questo caso il protagonista Bill Masen è invece un biologo, e l’incidente che lo priva momentaneamente della vista è dovuto… ai trifidi stessi, coltivati dall’azienda presso la quale lavora. Tutta la vicenda è raccontata in prima persona da Bill stesso, rendendo il tutto decisamente suggestivo.
Anche nel romanzo Bill incontra altre persone che si uniscono a lui, come la giovane scrittrice Josella (che nel corso della vicenda diverrà la sua compagna e la madre dei suoi figli) e la ragazzina Susan, che diventerà una sorta di figlia adottiva crescendo e raggiungendo l’adolescenza: infatti le vicende del romanzo si snodano per un periodo molto più lungo di quello del film, impiegando diversi anni.


Bill conosce molto bene i trifidi e le loro caratteristiche, infatti sa come procurarsi le armi adatte ad affrontarli e come difendersi in modo efficace da loro. Ovviamente non c’è traccia nel romanzo dell’altra coppia che li studia e alla fine li sconfigge: Bill sa già più o meno tutto quello che c’è da sapere, tra cui il fatto che ci vorranno anni per sbarazzarsi definitivamente di tutte quelle pericolose piante fuori controllo.
Ma ciò che colpisce di più del romanzo è la minuziosa descrizione del caos e dell’anarchia derivanti da quella difficile situazione: le autorità non esistono più, ognuno cerca di sopravvivere come può, molti finiscono nelle fauci (per così dire) dei trifidi, e tra qui pochi che hanno conservato la vista si formano anche bande di sciacalli che cercano di approfittare della situazione. La fuga finale di Bill e del suo piccolo gruppo dal loro rifugio non è per cercare la salvezza sulle coste come nel film, ma per sfuggire ad una squadra di paramilitari il cui obiettivo è instaurare una dittatura sul territorio… ma l’astuto Bill riuscirà ad organizzare la fuga lasciandoli in balia dei trifidi.
La situazione di degrado generale che fa da sfondo al romanzo ha ispirato altri film e telefilm di fantascienza di epoche successive: si pensi a “I sopravvissuti”, serie cult del 1975, o a “28 giorni dopo” (2002) e “28 settimane dopo” (2007).

Giuseppe Massari