Eletto ad autore con la “a” maiuscola grazie all’insolito giallo psicologico A Land imagined, in grado di congiungere le slogature delle emozioni ad appannaggio secondo il compianto ed erudito Enzo Siciliano della working class vittima dei giochi di potere all’accertamento della verità degli apologhi polizieschi insieme alla capacità visionaria di ricreare ad arte l’atmosfera rivelatrice del sogno, l’ambizioso regista singaporiano Yeo Siew Hua cerca d’inserire nell’ultima fatica, Stranger eyes – Sguardi nascosti, ulteriori elementi espressivi.
Lo scopo consiste nel consegnarci un ritratto ancora più approfondito dell’alienazione sociale. Forte già dell’audace tenuta stilistica esibita sin dagli esordi con In the house of straw, sull’esempio della prima fase di sperimentalismo del cinema taiwanese intento ad accorpare l’impegno morale dei film post-neorealisti agli inediti stimoli forniti dall’estroso metodo di validazione dell’intrigo accostato sotto alcuni aspetti al mistero dell’occulto, la vicenda della coppia messa in crisi dalla scomparsa dell’incolpevole figlioletta e dall’insolito stalking d’un voyeur che esula dagli indicativi personaggi dei gialli ordinari porta a galla un’attenzione drammaturgica degna d’encomio.
I maggiori meriti vanno ricercati nel gioco geometrico delle opere a mosaico. All’inizio emergono però a ben guardare le idee prese in prestito al riguardo dai film corali di Robert Altman ed Ettore Scola. Che costituiscono una brusca battuta d’arresto del carattere d’ingegno creativo di Yeo Siew Hua. Specie rispetto alla vicenda dell’operaio edile del previo A land imagined. La cui scomparsa in quel di Singapore innescava un’indagine destinata a cedere il passo al fascino dell’irrazionale. L’accertamento della verità dei detective movie era trascinato in tal modo negli scenari da brivido dell’horror spurio. Garantendo all’inedita scrittura per immagini la dote onirica del cinema di poesia. Idem per la geografia emozionale. L’empia metropoli rappresentata dalla natìa Singapore, divenuta epicentro dello sfruttamento lavorativo, eletta ad attante narrativo ed evocativo capace di condizionare i modi di agire e reagire dei personaggi agli avvenimenti, avversi e favorevoli, sembra aver lasciato spazio adesso a raffigurazioni accattivanti sul piano formale ma sommarie sotto l’aspetto contenutistico. La webcam di A land imagined era sufficiente ad accrescere in filigrana l’interazione tra habitat ed esseri umani condizionati dai fattori semidemoniaci dovuti all’autoritarismo ritenuto soft della città-stato.
La vera terra immaginata del titolo, che, invece, seppur ghermita dalla solita webcam negli interni domestici, dalle telecamere a circuito chiuso nei supermercati, dai filmini amatoriali della coppia al parco giochi con la bimba ancora tra le loro braccia, degli anonimi video inviati dal voyeur ai genitori in pena, dagli immancabili cellulari, da frivoli social media ed emittenti televisive ossessionate dalle dirette, indifferenti degli sforzi compiuti per risolvere il caso della creatura sparita dai malinconici poliziotti assurti a cavalieri erranti in chiave noir, riassume alla bell’e meglio il senso di marginalità. Relegato all’imbrunire dei centri commerciali, degli intristiti giardini della baia, di luoghi abitativi contraddistinti da palazzi con le persiane aperte. Lo skyline paga così dazio alle ennesime idee attinte all’altrui acume, specie quello di Hitchcock ne La finestra sul cortile, smarrendo nella massima misura l’egemonia della polpa dei franchi tiratori cinematografici sulla gelatina degli esaltati stilisti visivi. Gli spunti d’interesse sono offerti nelle battute introduttive dalla sensazione di vuoto patita dalla coppia in procinto di scoppiare mentre le indagini vanno avanti senza approdare a nulla. Bisognerebbe avere inoltre la sensibilità di un pezzo di marmo per non entrare in empatia con lo strazio trasmesso dal linguaggio dei corpi adagiati sull’algido pavimento di casa per poi accalorarsi nei frustranti confronti. I nervi tesi come una corda di violino, l’incubo di restare preda delle solitudini morali, le scelte rappresentative che vanno sotto pelle amalgamate ad altre ai limiti dell’astrazione, dando la precedenza all’incidenza delle cose non dette, testimoniano però la penuria dell’opportuno paesaggio riflessivo.
Il riverbero degli stati d’animo dei vari abitanti di Singapore sottoposti chi consapevolmente, chi inconsapevolmente a quello che lo stesso Yeo Siew Hua definisce “un regime di videosorveglianza” si limita quindi ad appaiare la prassi degli infiniti appostamenti, analoghi a quelli già mostrati nel cult Il braccio violento della legge, con l’infecondo schematismo connesso alla concatenazione dei minimi ed emblematici eventi. A lungo andare tuttavia il rapporto di causa ed effetto del lato oscuro, che da copione dovrebbe sprigionare la poesia legata all’orrore del dolore, lascia spazio al lato luminoso della speranza. Riposta in una pista di pattinaggio al chiuso dove i nodi vengono al pettine. Il calore umano allora ha la meglio sulla freddezza d’un’intelligenza quasi artificiale. Rea di non tener conto lì per lì della forza di persuasione degli sguardi avvalorati dai vincoli di sangue e di suolo. Estranei alle controverse vette massime dell’inane astrattezza. Allora la frammentarietà delle figure di fianco, dall’anziana mamma alla ragazza indispettita dal giudizio troppo intimo di un perfetto sconosciuto, abbandona la ribalta. A scaldare davvero il cuore provvede la fertile alternativa al clima tropicale, contrapposto al gelido distacco degli indifferenti eredi dei disincantati eroi di Alberto Moravia, all’inerte dinamica degli avvenimenti precedenti, alla psicopatologia del puzzle fine a se stesso. Lo sviluppo imprevisto, dispiegato in zona Cesarini nonché impreziosito dalla sottorecitazione d’un cast dalla sbirciata penetrante, permette a Stranger eyes – Sguardi nascosti di uscire dal guscio dell’infertile sofisticheria. La grazia estrema raggiunta con semplicità al dunque dall’armonico punto d’incontro tra vagheggiamento e realtà è destinata a rimanere impressa a caratteri cubitali nella mente d’ogni appassionato cinefilo propenso a versare una furtiva lacrima nel clima natalizio della Settima arte.
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