Submergence: l’emergenza Wim Wenders

Regista finissimo, preciso nel suo stile, così europeo e così universale, innovativo e classico, Wim Wenders firmó capolavori assoluti. Giusto per citarne qualcuno, L’amico americano o Paris, Texas o Così lontano così vicino, gioielli post-moderni come Fino alla fine del mondo e Lisbon story.

Così pop, eppure così autoriale, Wenders volava altissimo e sembrava destinato – come probabilmente ha fatto, ma ai posteri – a finire nella storia del cinema. Improvvisamente, però, qualcosa si è rotto: il flop assoluto di Million dollar hotel segna il suo ingresso nel nuovo secolo e sembra istantaneamente perdere il feeling con le sue storie, con il suo pubblico. Sembra non riuscire più ad incastrare i pezzi del suo incredibile mondo autoriale, sfornando prodotti che vanno dal mediocre al sufficiente, ma, in ogni caso, lontanissimi dalle vette del suo periodo più fecondo.

E arriva oggi Submergence, con Alicia Vikander e James McAvoy al centro di un meló che segue la storia d’amore dei due protagonisti James e Danielle, lui spia britannica in incognito e lei biomatematica, entrambi in vacanza. Si incontrano, si innamorano, si separano con la promessa di rivedersi, finché lui non viene catturato, durante una missione, dai jihadisti, e lei, ignara di tutto, continua la propria vita senza spiegarsi il silenzio dell’amante.

Polpettone è la prima parola che viene in mente dopo la visione dei centododici minuti (così pochi, così lunghi, verrebbe da ironizzare) di una storia d’amore banalotta e senza sbocchi. E sì che a tratti sembra emergere, anzi, risvegliarsi, l’arguzia del genio wendersiano che fu, mentre la storia si dispiega in maniera più che canonica.

Come piantando dei piccoli semini, il cineasta tedesco dissemjna qua e là segnali, tracce che rimandano ad approfondimenti, suggestioni, tematiche, ossessioni che vanno al di là (o almeno vorrebbero farlo) della narrazione in sé per sé. Ma sono tracce talmente esigue, momenti così sottili che non lasciano traccia, e, di sicuro, tutto Submergence è talmente striminzito, esile, scarno nella sostanza quanto ingombrante nella sua ridondanza di sentimenti a buon mercato da non sembrare neanche un film d’autore.

Fino a far rimpiangere neppure più un Il cielo sopra Berlino e a far apparire oro il mediocre Non bussare alla mia porta davanti ad un film su commissione, svogliato e bugiardo.

GianLorenzo Franzì