Sulla mia pelle: il film sul caso di Stefano Cucchi

Basato sulla ricostruzione precisa dei fatti di cronaca nera che coinvolsero Stefano Cucchi, Sulla mia pelle ha aperto la settantacinquesima Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione “Orizzonti”, ricevendo il consenso di pubblico e critica e un applauso di sette minuti.

Nei panni di Cucchi troviamo un camaleontico Alessandro Borghi,  il quale si cala bene in un ruolo difficile e scansa abilmente i facili patetismi. Dimagrito per l’occasione (ma non abbastanza: il vero Cucchi nel momento del decesso era talmente malnutrito da pesare trentasette chili), Borghi modifica persino il suo abituale tono di voce. E si dimentica delle camere di ripresa, immedesimandosi completamente – e noi con lui – nello svolgimento degli eventi che di fatto rendono Sulla mia pelle un film cronaca.

Stefano Cucchi è un ex tossicodipendente, entrato e uscito più volte dai Rehab, che viene fermato dai carabinieri in zona Tor Pignattara e trovato in possesso di diverse dosi di hashish e cocaina. Sballottato da una caserma all’altra, viene posto sotto custodia cautelare e in questo frangente subisce intollerabili traumi fisici ad opera dei suoi detentori. Successivamente, il ragazzo viene processato per direttissima e confermato agli arresti. Ma le sue condizioni degenerano e le cure mediche – prestate male e troppo tardi – non servono a nulla; fino alla morte, sette giorni dopo il primo arresto, senza che padre, madre e sorella(i bravissimi Max Tortora, Milvia Marigliano e Jasmine Trinca) possano anche solo riuscire a parlargli.

Il decesso di Cucchi rimane ad oggi uno dei più vergognosi fatti di cronaca nera imputabili all’abuso di autorità delle forze dell’ordine. Trascorsi dieci anni, sappiamo che la sorella Ilaria è divenuta portavoce di molte ingiustizie similari e che sono stati più volte fatti ricorsi e appelli-bis per incriminare – senza mai riuscirci del tutto – coloro che, in un modo o nell’altro, si sono resi partecipi di una tale ingiustizia.

Nel film è infatti abbastanza evidente (e irritante) il lassismo non solo di polizia e carabinieri, ma anche degli organi giudiziari (in primis la giudice che stabilisce la prima condanna di Stefano) e, soprattutto, delle figure mediche che, di volta in volta, lo prendono in cura (tutti regolarmente indagati e puntualmente assolti).

Eppure, il lungometraggio di Cremonini non manca di essere oggettivo e di mostrare il difficile carattere di Cucchi, che si dimostrava poco collaborativo e, talvolta, lunatico. Se da un lato è comprensibile la paura di eventuali pericolose ritorsioni da parte delle forze dell’ordine, dall’altro i comportamenti del giovane non mancano di suscitare una certa “rabbia” nello spettatore. Ma è proprio ciò che funziona e che rende Sulla mia pelle un buon film. Questa empatia fortissima che si crea col pubblico che guarda, e che vorrebbe poter correggere certe scelte di Stefano.

Sulla mia Pelle diventa quindi un testamento abbastanza obiettivo su un decesso ingiusto e sulla condotta esecrabile di chi detiene i poteri forti. Una denuncia solitaria in mezzo ad un mare di morti inspiegabili avvenute in carcere: centosettantasei nel solo 2009.

 

 

Giulia Anastasi