SUVARI: le paure hanno una loro forma

Un Ep di soli 3 brani inediti per Luca De Santis ovvero SUVARI che sforna un breve assaggio sulla sue capitalizzazione del concetto paura. Ed è paura esistenziale del tempo che passa in questo lavoro dal titolo “Di cosa hai paura?”. Ed è pop raffinato di impronte digitali il DNA primo di questa estetica concettuale, filosofie che SUVARI compone in modo leggero ed immediato e che rilascia al pubblico in una forma ballata alla indie-maniera. Solo 3 scritture di cui è “Altrove” il singolo scelto per farne immagine da videoclip da rilasciare in rete… un altrove dove rifugiarsi ma anche dove ritrovarsi, un altro luogo che al pensiero corrisponde ad un non-luogo, un altrove da raggiungere… la paura di lasciare qualcosa che sia ha o che si è… e poi ritrovarsi grandi, adulti, anziani e ricordarsi dell’era fanciullesca quando si giocava con il “Supertele”… ve lo ricordato il Supertele? Un bel disco, semplice, pop, di nostre abitudini…

Noi parliamo di estetica… innegabile, basta sfogliare il magazine. Cos’è per te l’estetica e quanto conta in una forma espressiva?
Ovviamente anche l’occhio vuole la sua parte. Nella musica la parte estetica ti permette di aggiungere un livello di lettura in più all’aspetto sonoro, veicolando così l’audio con un’immagine che si vuol trasmettere. Oltre a questo oggi in un mondo filtrato dai social network ha un aspetto molto importante l’estetica che si associa ad un progetto musicale. Io sono anni che lavoro come grafico, quindi mi viene naturale curare maggiormente gli questi aspetti come ad esempio è stato per il concept dietro al nuovo ep.

Però l’estetica è anche quella che si nasconde tra le pieghe della forma d’arte superficiale. E quindi, al di la del significato sfacciato delle tue canzoni, c’è un messaggio latente dietro questo Ep?
Certo. Cerco di far vivere ogni canzone su diversi livelli di lettura e su forti contrasti. Ad esempio i ritornelli allegri portano con se aspetti profondi e più fragili del mio carattere. Dietro a questo Ep ci sono i discorsi che si sente fare al bar, chiacchiere di passaggio che dicono molto delle persone. Ultimamente ho sentito parlare fin troppo di paura, e mi sono chiesto quali fossero queste paure. Dal punto di vista personale sono le normali difficoltà del quotidiano, ma ho notato purtroppo che dietro i discorsi passeggeri del bar c’era molta ignoranza, odio verso il prossimo, incapacità di comprendere il mondo che viviamo.

Che poi anche SUVARI, anche l’uso di un moniker significa qualcosa che si nasconde all’evidenza. Anche nascondere se stessi al pubblico ha, per me, lo stesso valore. Non è così?
Si, creare un nickname per produrre musica ci permette di creare un “io” alternativo, una maschera con la quale si può giocare. È divertente ed è stimolante, ma soprattutto ti offre la possibilità di aprire gli orizzonti ed essere in continua evoluzione. Oggi Suvari sono io, domani possiamo essere 2 o 3 persone, o diventare qualcosa di diverso.

E sempre restando nell’ambito dell’estetica: perché solo 3 brani? Ha un qualche significato? Una cosa che mi pare assai curiosa… quanto meno mai vista…
Volevo far uscire della musica nuova che celebrasse un anno dall’uscita del disco di debutto “prove per un incendio”, avevo già molte canzoni pronte ma lavorare ad un disco ha un procedimento lungo e necessita di tempo. Ma soprattutto mi son reso conto che oggi la fruizione della musica è molto più veloce e si esaurisce in un tempo più ristretto. 3 canzoni sono una misura giusta per creare un concept, per rinfrescare il proprio repertorio continuando a lavorare su brani nuovi.

Di sottofondo ci leggo una grossa nostalgie degli anni ’90. Non è così? E nel caso ci sono riferimenti da fare nello specifico?
Sono cresciuto negli anni 90, sono gli anni in cui ho scoperto la musica, mi sono innamorato di gruppi che mi hanno totalmente cambiato e invogliato a suonare. La nostalgia non è voluta, ma forse il ricordo un po’ nostalgico di quel periodo me lo porto sempre dietro.
Dal punto di vista compositivo le mie ispirazioni vengono più dalla prima elettronica e dal post punk anni 80, ma tutto il bagaglio dei miei gruppi preferiti è proprio nei 90.

E anche il pop è una forma estetica che cerchi di inseguire, anche in questo realizzare brani partendo da idee che magari nascono fischiando. C’è una direzione precisa…
Non proprio, l’obiettivo è essere soddisfatto al massimo di una canzone, deve essere un brano che ho voglia di ascoltare molte volte e di suonare dal vivo. Le canzoni nascono spontaneamente, come appunto dicevi a volte da un motivetto nella testa. Ad esempio la canzone “Di cosa hai paura?” nasce dal ritornello che mi canticchiavo e che ho registrato mantenendo il “na na na” che mi girava per la testa.

E per chiudere parliamo del video che ha un aspetto decisamente anni ’90. L’hai voluto così… vero?
Si, ha dei colori che mi ricordano un po’ i primi anni di MTV. Ho deciso di unire diverse immagini riprese col cellulare durante un viaggio on the road negli Stati Uniti con altre che rappresentano il quotidiano, sia a Roma che in Toscana, dove sono cresciuto. Le immagini che si sovrappongono invece rappresentano le idee di fuga, sogni, pensieri che abbiamo ogni giorno.