“Lo scherzo non porta a nulla, il gioco porta alla risoluzione delle cose”.
Nel 2020 vedeva la luce Fabula, il thiller del regista ed attore veneziano Denis Frison che fece subito molto parlare di sé per essere un omaggio, talvolta fin troppo insistito, al re del brivido italiano Dario Argento. Eppure, nonostante il citazionismo, Frison dà prova incontrovertibile di sapere il fatto suo, di riuscire molto bene a costruire la suspense, e di essere in grado di realizzare, oggigiorno, un giallo/thriller dallo schema classico com’erano quelli degli anni Settanta. Dopo una lunga pausa dovuta a questioni personali, il regista ritorna prepotentemente nel 2024 con ben due lavori, il drammatico L’Ultimo Addio ed il thriller Tenebris, che entrambi lo vedono anche come protagonista. L’attesa di coloro che, come me, avendo amato Fabula, non avevano dubbi sul nuovo lavoro di Frison, è stata ampiamente ricompensata, e questo Tenebris, ancora inedito perché nel circuito festivaliero, saprà sicuramente far gioire gli amanti del genere ormai quasi inesistente del giallo all’italiana, che ci ha resi così popolari nel mondo dai Sessanta agli Ottanta, con nomi quali Bava, Argento, Fulci, Martino ed Avati.

Spinea, Venezia. Il piccolo e tranquillo paese veneto è sconvolto dai delitti di un feroce serial killer, che la gente chiama semplicemente “Il Mostro”, il quale uccide solamente bambini, costringendo i genitori ad assistere alla loro morte. Mentre la polizia locale cera di trovare indizi sufficienti per catturare il killer, che uccide indossando una maschera, un gruppo di ragazzini, terrorizzati ma allo stesso tempo determinati, decide di entrare in gioco per stanare il mostro direttamente. Insieme a loro Daniel, un giovane disabile affascinato dai supereroi, e un ex commissario locale, che sta cominciando ad avvertire i primi sintomi di demenza senile. Questo gruppetto eterogeneo si metterà sulle orme del pericoloso assassino, disposto a tutto per di assicurarlo alla giustizia.
I ragazzini sono subito mostrati come i veri protagonisti di Tenebris, mentre al buio giocano al gioco horror per eccellenza, quel Brivido col teschietto luminescente che tanti di noi avrà deliziato nella fanciullezza. Essi sono un po’ i Goonies, un po’ i Perdenti di It, avventurosi, scaltri, pronti a ricacciare indietro le loro paure, determinati, tanto che, proprio come in It, si ritroveranno, tutti maschietti ed una sola femminuccia, a compiere un giuramento in cerchio, per sconfiggere quel mostro che sembra nutrirsi della loro sofferenza. E lui, il killer, un po’ mostruoso lo è, anche nelle fattezze e nei movimenti, presentandosi la notte nelle case con quella maschera spaventosa che raffigura Momo, la terrificante creepypasta che rappresenta una donna dai lunghi capelli neri, enormi occhi sporgenti, una bocca gigantesca atteggiata in un ghigno sorridente e le gambe di uccello. Come faceva il killer del precedente Fabula, anche questo sembra divertirsi a recapitare lettere e pacchi, anche se qui le fiabe non c’entrano nulla. Qui non si ascolta un racconto, ma le cassette che vengono recapitate parlano di atti ignobili, soprusi spaventosi su bambini, cose da far accapponare la pelle.

Frison gioca sulle emozioni generate dai contrasti stridenti su cui si basa il suo racconto: la crudeltà più spietata, il bullismo più becero, si scontrano con la purezza assoluta dei protagonisti, i bambini vittime ma anche quelli che si mettono a repentaglio pur di smascherare il killer, insieme a Daniel ed all’ex poliziotto: un gruppo di persone ai margini della società, pure e candide perché piccole, ritardate o anziane, che, nonostante tutto, avranno la forza di cercare e sfidare il killer che ha gettato Spinea nello sconforto, facendo addirittura pensare alla polizia locale di indire il coprifuoco. Frison, anche scrittore e poeta, ci porta all’interno di una narrazione che tocca i punti più crudi ed abietti dell’animo umano, mostrando le tenebre della psiche ma anche la luce che può emergere nei momenti più bui.

Non è solamente un thriller, questo Tenebris, ma anche un horror che strizza l’occhio ai torture porn più efferati come Hostel e Saw, ed anche un film drammatico che ci porta ad interrogarci su problemi reali come i soprusi familiari ed il bullismo. La famiglia, malata e corrotta, è, come in Fabula, il fulcro della storia, e ci riporta a quell’amore che il regista ha per Argento, che nelle famiglie disfunzionali ha spesso gettato le basi per la creazione dei suoi più riusciti e noti assassini. Denis Frison porta i suoi protagonisti a vivere una sorta di coming of age, un rituale iniziatico che li condurrà alla perdita dell’innocenza, svelando sotto i loro occhi gli orrori più atroci e le realtà più perverse e dolorose. I più deboli diverranno i supereroi, soprattutto il dolcissimo Daniel, interpretato egregiamente dallo stesso regista che denota doti attoriali decisamente sopra la media, portandomi a ricredermi sul mio pensiero costante che un bravo regista dovrebbe concentrarsi su quello lasciando stare la recitazione. Frison è attore e regista impeccabile, ed il suo Daniel riesce più di una volta a commuovere, a far vibrare le corde più profonde dell’animo di ognuno di noi, toccando vette altissime sia nella scena coi bulli nei quali si imbatte in bicicletta, sia nel dolorosissimo finale, in cui si evidenzia la capacità dell’essere umano di resistere e combattere il male anche nelle situazioni più estreme e disperate. Oltre alla grandissima prova interpretativa, Frison sa girare, ed anche molto, molto bene. Cura la sua opera fin nei più piccoli dettagli, non lascia nulla al caso, e dimostra il suo totale compiacimento nel far paura, che ha profonde radici nel suo amore quasi devozionale per il genere. Egli ama il thriller, e lo padroneggia in maniera ineccepibile, riuscendo a costruire una storia piena di suspense, di trovate e di colpi di scena che terrà lo spettatore all’erta e concentratissimo per le oltre due ore di durata della pellicola.

Le location nella vera Spinea sono molto suggestive, andando da ville abbandonate a grandi spazi verdi, ed il tutto è ampiamente impreziosito dalle incalzanti musiche del pluripremiato Stefano Gargiulo che, a tratti, riecheggiano senza alcun dubbio quelle degli argentiani Goblin, ma hanno un’eco anche nelle partiture tensive di John Carpenter. Senza tante stramberie, quindi, ma con una sceneggiatura lineare e non contorta come si ama oggi, un ottimo cast e tanto amore per il genere, Frison dimostra come sia ancora possibile, negli anni Duemilaventi, riuscire a fare thriller all’italiana degni di tale nome, essendone per altro egli stesso non solo il regista e sceneggiatore, ma anche il direttore della fotografia ed il montatore, nonostante l’alto numero di maestranze coinvolte nel progetto e il supporto costante dell’intera comunità di Spinea. Oltre a Frison nel ruolo di Daniel, nel cast si distingue anche il bravissimo attore Sergio Bovo, persona di grande empatia, nel ruolo dell’ex commissario vedovo che dialoga ancora con la moglie morta ed ha un legame molto forte coi bambini ed il loro amico disabile.
Molti sono gli omaggi che Frison tributa, anche stavolta, al suo punto di riferimento, Dario Argento, a partire dal titolo che ricorda quel Tenebre del 1982, uno dei più riusciti thriller argentiani. Troviamo poi il disegno infantile, col bimbo che brandisce un coltello che gronda sangue, che troneggia nella locandina del film, ovviamente ispirato a quello celebre di Profondo Rosso; la filastrocca infantile che il killer sembra far sua per uccidere, che richiama alla mente quella di Non ho Sonno; e l’espediente di legare una persona e costringerla a guardare la morte di un proprio caro non può non far venire in mente le torture inflitte alla povera Cristina Marsillach in Opera. Ma non solo Argento viene omaggiato: abbiamo già citato certi rimandi a opere quali Saw di James Wan o Hostel di Eli Roth, ma non è tutto. Il travestimento mostruoso del finale ricorda quello dei mostri di The Village di M. Night Shyamalan, mentre la scena dei bambini che compatti corrono in bici verso la possibile villa del mostro, ripresi dall’alto, ricorda ovviamente il capolavoro di Steven Spielberg E.T. L’Extraterrestre, con tanto di musica sinfonica di sottofondo molto simile a quella che accompagnava Elliot e Micheal nelle loro scorribande.

Insomma, cari miei, Frison ci ha fatto aspettare tanto, questo è vero, ma posso proprio assicurarvi che ne è valsa totalmente la pena, e che Tenebris non potrà in alcun modo deludere coloro che avevano amato Fabula. Con tanta suspense, un forte messaggio sul bullismo e la diversità, una ricerca del dettaglio impressionante ed un enorme amore per quello che ama fare, Denis Frison confeziona un thriller ad alta tensione che mescola con garbo lacrime e brividi, portando ad un finale destabilizzante ed inquietante con un killer dal background complesso e stratificato, che non ci fa certamente rimpiangere quello del Dario Argento di Occhiali Neri, ma portandoci anzi a dire che, in questo caso, l’allievo, per lo meno attualmente, ha superato il maestro, grazie, ovviamente, alla grande lezione di vita che da lui e dal suo cinema ha appreso.
Non vi resta quindi che aspettare, miei cari, che Tenebris finisca il suo percorso festivaliero, per potervelo gustare e lasciarvi commuovere e spaventare ancora una volta dal prode Daniel, alias Denis Frison.
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