Con oltre cento titoli firmati come sceneggiatore, da Oh, Serafina! di Alberto Lattuada a Natale a 5 stelle di Marco Risi, Enrico Vanzina è, senza alcun dubbio, uno dei più prolifici talenti della storia del cinema italiano, del quale, insieme al compianto fratello regista Carlo, ha scritto alcune delle pagine maggiormente importanti degli ultimi cinquant’anni, soprattutto per quanto riguarda la commedia.
Approdato al Terni Pop Film Fest per far ripercorrere al pubblico le tappe fondamentali della Settima arte popolare attraverso una masterclass e per parlare del suo commovente libro Mio fratello Carlo, lo abbiamo incontrato per scambiare qualche battuta, in vista anche del suo prossimo progetto Sotto il sole di Riccione.
Quali sono i cinque film che preferisci della filmografia dei fratelli Vanzina?
È impossibile risponderti, ma, se vuoi, faccio una scelta molto particolare: Il cielo in una stanza, Tre colonne in cronaca, Sotto il vestito niente, Sapore di mare e Mai Stati Uniti.
E quale è, invece, il film che ricordi con più affetto in rapporto al lavoro con Carlo?
La risposta che ho dato, io che non lo sono mai, era molto snob. Il film che ricordo con più affetto del rapporto con Carlo è stato Sognando la California, perché abbiamo attraversato l’America insieme e tutte le sere ci guardavamo dicendoci “Hai visto che roba? Siamo nei film di John Ford”.
Nel corso della vostra carriera ci avete fatto tanto ridere, ma in quasi tutti i vostri film c’è sempre almeno un piccolo momento per commuoversi. In questo libro, addirittura, ci hai dimostrato anche di essere capace di commuoverci dall’inizio alla fine. Quale è il segreto di Vanzina per riuscire sempre sia a divertire lo spettatore che a commuoverlo?
Dire la verità. Dire la verità attraverso la commedia significa non fare sconti al politicamente corretto, mentre riuscire a commuovere significa dire la verità anche quando le cose dovresti non dirle.
Quindi, di tutta la filmografia vanziniana quale è il film che ritieni maggiormente divertente e quale credi sia maggiormente commovente?
Non so per quale ragione, ma il film più commovente, forse, è Amarsi un po’. In fondo, lo è anche Il cielo in una stanza. Il film più divertente e buffo, invece, almeno tra quelli che ho fatto io personalmente è, per me, Febbre da cavallo.
Tra i vostri film più riusciti vi è Il pranzo della Domenica, nel quale vi sono tratti di attualità quasi destabilizzanti, perché avevamo una sinistra che cominciava a manifestare forti lati di rimosso e di oscurità e una destra che, invece, in passato era stata bollata da un certo ambiente in maniera sprezzante, possedendo al contrario tratti di candore. Avevate già intuito qualcosa su come, poi, destra e sinistra sarebbero arrivate fino ad oggi?
Quando fai il cinema non fai né saggi, né giornalismo d’inchiesta, ma cerchi di guardarti intorno e di tentare di capire piccoli segnali che possono esservi. Il cinema, di solito, fa dieci minuti prima ciò che la televisione fa due anni dopo, quindi, sicuramente, è il mezzo che ti aiuta, perché sei più libero, puoi fare quello che ti pare. Non avevamo del moralismo, però la nostra sensazione era che Il pranzo della Domenica fosse l’ultima vera commedia italiana che si poteva girare in Italia, e, infatti, è stato un po’ così. Dopo si è dovuto fare i conti con altre cose perché sono del tutto cambiate delle categorie, non solo per quanto riguarda la politica, ma anche i rapporti familiari e generazionali. Il film è stato l’ultimo canto del cigno di una commedia di un certo tipo che non si può più fare. Non ho mai avuto la presunzione di possedere facoltà di veggenza, ma ho soltanto raccontato quello che vedevo.
Hai un film nel cassetto o nuovi progetti imminenti?
Film nel cassetto non ne ho perché, avendone fatti cento, sarebbe stato stupido averne nel cassetto, siamo stati già molto fortunati a realizzare tante cose. Ne avevamo soltanto uno, Colt, soggetto di Sergio Leone che abbiamo avuto la possibilità di sviluppare e da cui volevamo trarre un film. Adesso Stefano Sollima ne farà una serie, ma mi dispiace molto non aver potuto realizzarlo con Carlo, perché volevamo un po’ rifare lo spaghetti western. Sto preparando altre cose di cui non voglio parlare perché porta sfortuna, mentre Sotto il sole di Riccione è un grande tentativo di lanciare a livello mondiale un certo tipo di commedia romantica italiana che, diciamo, ha come suo capostipite proprio Sapore di mare, aggiornata ad oggi e con giovani attori molto bravi. Secondo me una grande occasione per tutto un gruppo di registi e attori giovani in un contesto, però, tradizionale e che ho scritto cercando di tenerli in un perimetro più classico, perché spesso questi ragazzi fanno film che hanno grandi talenti all’interno ma vanno in direzioni sbagliate dal punto di vista narrativo. Quindi, un film molto moderno, molto giovane e molto sentimentale che rimanga in una narrazione abbastanza classica, grazie alla possibilità di lavorare con Netflix.
Citato nel titolo, il verso della canzone omonima di Tommaso Paradiso è stato un punto di partenza per il film?
Sì, perché in una ricerca di un soggetto che potesse interessare centotrenta paesi, non solo l’Italia, viene fuori che, al di là del grande successo discografico riscosso dalla canzone di Tommaso Paradiso, la parola “Riccione” è un brand fortissimo all’estero, qualcosa che ricorda la nostra nazione in moltissime del mondo. È una città che ha vissuto sul turismo estero e, certamente, tra i titoli possibili per una storia del genere è venuto fuori questo. Oltretutto, Paradiso curerà anche le musiche del film.
Francesco Lomuscio
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