Recensione: The Darkness

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Una famiglia, rispettivamente Peter e Bronny coi loro figli Michael e Stephanie, ritorna da un campeggio nel Grand Canyon . Il figlio più piccolo, Michael, porta a casa delle pietre sacre del posto e le conserva. Da lì in poi accadranno cose strane e la situazione peggiorerà sempre di più a causa di entità sovrannaturali e antiche, che tormenteranno la famiglia in cerca di un’anima innocente da portar via.

Il film è basato su eventi reali, una storia accaduta ad una famiglia durante un viaggio nel Grand Canyon e si presenta al pubblico come un horror soprannaturale.

Regia di Greg Mclean (Wolf Creek, Wolf Creek 2), questo lavoro di 92 minuti è prodotto da Jason Blum (famoso nel panorama horror per aver prodotto Paranormal Activity, Insidious, Sinister, Le streghe di Salem, Dark Skies, The Lazarus Effect, Jessabelle, Oculus, The Gallows, La notte del giudizio, Il segnato, Ouija e  The Visit).the-darkness-2016-bild-2

Un lavoro che dovrebbe risultar come un horror moderno ma che, qualche scena a parte, viene visto dallo spettatore come un drammatico a tinte horror. In queste vicende l’emozione principale è la sofferenza e la storia ruota attorno situazioni difficili: Una madre dedita all’alcol, un padre ex adultero, un figlio autistico e una figlia bulimica. La famiglia viene scossa da eventi paranormali che non faranno altro che peggiorare le cose arrivando al puro dramma. Lacrime, urla, rotture, sentimentalismi… un tormento psicologico: tutto ciò che non fa parte di un horror (che non sia però psicologico, come ad esempio il ”Babadook” di Jennifer Kent).

golifbdovmxpd9pzcyteulebx1gLa pellicola può vantare solo di antagonisti originali, i demoni nascosti nelle pietre dagli indiani Anasazi, sciamani del Grand Canyon e, soprattutto, della presenza del celebre Kevin Bacon e di Radha Mitchell, la quale regge da sola tutto il film con un’interpretazione eccellente.
”The Darkness” (o ”6 Miranda Drive”), ricorda molto ”Insidious”, ”Stranger Things” e prende tanto materiale basilare dai nostrani ”La casa 5” e ”Manhattan Baby” di Lucio Fulci.  La storia, scontata e alquanto tediosa, sfocia in un finale inutile e articolato male, con una frase di troppo e poca razionalità. Si presenta, così, un lavoro vano e ripetitivo, che non presenta inquietudini e un ritmo incalzante, ma solo tanta sterilità.