Secondo quanto si legge sull’enciclopedia il jinn, anche traslitterato nella grafia francese semplificata djinn, spesso tradotto come “genio”, è una creatura citata nel Corano, una sorta di entità soprannaturale intermedia tra il mondo angelico e l’umanità, avente perlopiù carattere maligno. Intorno a questa affascinante figura mitologica gira il film statunitense del 2021 The Djinn, dei registi David Charbonier e Justin Powell, che ne sono anche sceneggiatori. Distribuita direttamente in home video e sulle piattaforme on demand, quest’opera ci fa capire come con un piccolo budget, soli quattro attori ed un’unica location, un normale appartamentino, si possano creare le atmosfere giuste, senza bisogno di chissà quali effetti fantasmagorici per riuscire ad inquietare ed a tratti, perché no, anche a spaventare.

Dylan è un bimbo muto che si trasferisce in una nuova casa col papà Michael dopo il suicidio della mamma. Il piccolo è oppresso dai sensi di colpa, essendo certo che se lui fosse stato “normale” la mamma non avrebbe avuto alcuna ragione per uccidersi. Il padre lavora di notte, ed è costretto a lasciare Dylan da solo nella nuova casa, dove si sono appena trasferiti. Rovistando nell’armadio il ragazzino si imbatte in un antico grimorio, nelle cui pagine trova un incantesimo per esaudire un desiderio. Prendendolo come un gioco, decide di provare, ma non sa che così facendo risveglierà un potente djinn che, una volta libero, suole prendere le forme delle paure più recondite di chi lo invoca, mettendone alla prova il coraggio. Se l’invocatore riuscirà a sopravvivere ad un’ora rinchiuso con lui, avrà il desiderio esaudito, ma ci sarà comunque un prezzo da pagare.
Come un moderno Aladino, inconsapevole dei rischi a cui va incontro, Dylan si appresta a trascorrere il suo tempo libero evocando un djinn, ovviamente nella speranza di ottenere una voce che gli permetta una vita integrata con tutti gli altri bambini. E dire che il libro parlava chiaro, e la descrizione del djinn non era proprio rassicurante, diciamo così: “Metà uomo e metà bestia, il djinn è uno dei cinque guardiani immortali del regno delle ombre. Appare a coloro che esprimono un desiderio, e lo esaudisce a chiunque abbia il coraggio di sopravvivere un’ora in sua presenza, ma consuma il cuore di tutti quelli che falliscono, dannando la loro anima nel regno delle ombre per l’eternità”. Sarà, forse, che nessuno darebbe gran peso, oggigiorno, a storie come queste, ritenendole solo delle fiabe per bambini, o forse sarà l’incoscienza dei più giovani, che da che mondo è mondo si approcciano al proibito con quella sorta di coraggio non supportato da nulla che dalla loro spavalderia, fatto sta che Dylan decide di esprimere il suo desiderio con leggerezza, e lo fa sulle note di un super pezzo stile Anni Ottanta che esce dalla sua radio, e che il papà ha richiesto esplicitamente per lui, Dreams dei Timecop1983, che in realtà è datato 2014, ma va bene lo stesso per creare la giusta atmosfera. Eh sì, perché i due registi e sceneggiatori hanno voluto inserire il loro film nella scia degli horror adolescenziali che tanto andavano di moda negli Anni Ottanta, in cui un ragazzino risolveva delle situazioni incredibili solo col suo incosciente coraggio, ed infatti The Djinn si apre con la scritta in sovraimpressione “Una tranquilla notte d’estate, 1989”, per poi spostarsi avanti di poco, nell’autunno dello stesso anno, quando Dylan ed il padre si trasferiscono nel nuovo appartamento.

Il piccolo protagonista parte già svantaggiato rispetto a tanti baby eroi del cinema dell’orrore: è muto (ma, per fortuna sua, non sordo!!!) ed è pure pesantemente asmatico, ricordandoci, così, l’Eddie Kaspbrak di kinghiana memoria, che nel primo scontro con It nelle fogne lo ricacciò indietro usando proprio il suo inalatore per l’asma come fosse acido muriatico. Ovviamente, come spessissimo accade nell’horror, tutto comincia da un trasloco: si lascia la vecchia casa, che per un certo tempo ha rappresentato un nido sicuro, ma poi un evento traumatico l’ha trasformata in una sorta di prigione dei brutti ricordi, e si cerca un futuro in una nuova e sconosciuta location. Dylan e Michael sanno che lì è morto il vecchio proprietario, ma il papà non dà peso alla cosa, in fondo era un uomo molto anziano. Il bambino sembra invece percepire in qualche modo la presenza dell’ex proprietario ancora lì, e parrebbe tutt’altro che benevola. Ovviamente, e qui ancora si costruisce sui cliché, nella casa si trovano ancora gli oggetti del vecchio inquilino, e, guarda caso, sono tutti stipati nell’armadio di Dylan: tra candelabri, un ritratto del vecchio, ed uno strano specchio opaco, salta fuori, pensa un po’, un ingiallito grimorio rivestito in pelle con sopra un bel pentacolo rovesciato: rassicurante, no? Però Dylan, che non sa come passare il tempo, non avendo cellulare, computer o play station, ecco che si dà alla lettura, ma sicuramente avrebbe fatto meglio a continuare quella di Pinocchio, che il padre gli legge prima di andare a letto.

Comunque, cliché orrorifici a parte, il film è ben costruito: le atmosfere che i due registi hanno saputo creare sono quelle giuste, ed una radio gracchiante o una televisione che si accende all’improvviso da sola diventano, nell’economia del racconto, qualcosa di davvero molto spaventoso. Il djinn, secondo le leggende che lo riguardano, si sposterebbe attraverso l’aria ed il vento, ed infatti anche qui la sua prima manifestazione è sotto forma di un’impalpabile nebbiolina che serpeggia tra le stanze dell’appartamento, scena che è stata resa molto bene grazie all’uso di un notevolissimo piano sequenza che simula abilmente il movimento sinuoso del djinn da una stanza all’altra. Trovo che sia, poi, efficacissimo, l’uso del silenzio. La colonna sonora è appena accennata e davvero poco invasiva, e si gioca molto sulla condizione del bambino che, essendo muto, non ha la possibilità di gridare e chiedere aiuto, e che quindi risulta ancora più privo di armi per difendersi dalla terrificante creatura che, scherzando, ha evocato dagli inferi. Il silenzio che avvolge le scene più ansiogene del film contribuisce ad aggiungere pathos all’intera vicenda. Ed ecco che il tappeto sonoro viene ad assumere una rilevanza pregna di significato, perché ogni piccolo rumore, spesso inspiegabile, contribuisce a far crescere l’ansia ed il terrore nel povero Dylan, e, quindi, anche nello spettatore, che segue, inerme, le sue sfortunate vicende. Del resto, il padre, in qualche modo, lo aveva avvertito: “Quando cominciamo a pensare alle cose che ci mancano, dimentichiamo le cose che abbiamo”. Ma questa frase diverrà chiara a Dylan solo quando ormai sarà troppo tardi.

Rimanendo nella sfera dei cliché, non poteva mancare l’usuale jump scare della donna nell’angolino che si gira rivelandosi un mostro, decisamente telefonato e prevedibile, ma che, comunque, risulta alla fine ben fatto e ben realizzato, compreso il convincente trucco della figura femminile. Se una scena del genere strizza l’occhio ai vari ESP ed affini, certamente l’uso insistente del bagno come sorta di luogo sicuro dove rifugiarsi non può non far venire alla mente il bellissimo film francese del 2007 À l’intérieur, dei registi Alexandre Bustillo e Julien Maury, dove la povera protagonista, Sarah, verrà imprigionata in casa sua proprio come il nostro Dylan, cercando rifugio nella toilette. Del resto, come si diceva in un vecchio racconto giapponese, Il Mostro del Tempio, “alla notte, evita i grandi spazi, ma stai in quelli piccoli”, e sia Dylan che Sarah sembrano aver preso questo insegnamento nipponico alla lettera…
Certamente, coprire oltre 80 minuti di film quasi senza nessun dialogo in alcuni momenti può risultare un po’ noioso, e viene da chiedersi se forse la formula del cortometraggio non sarebbe potuta essere più incisiva e funzionale. Pur tuttavia il bravissimo Ezra Dewey, che ci offre una performance da paura, riesce a portare avanti il film fino in fondo praticamente da solo, e senza mai parlare, e la sua prova attoriale è sicuramente un ottimo valore aggiunto per questo divertente lungometraggio. Bella è anche la realizzazione del djinn che, dopo aver preso varie fattezze umane spaventose, si mostrerà alla fine per quello che è, una creatura davvero mostruosa che ricorda il The Mask di Jim Carrey.

Insomma, se cercate un film originale ed innovativo, allora certamente The Djinn non fa per voi, perché, come detto, si costruisce tutto sulla ripetizione dei topoi classici del cinema dell’orrore. Tuttavia, se per voi non sempre l’originalità è la caratteristica principale su cui giudicate un buon film, allora io vi consiglio di vederlo perché, nonostante tutto sia già stato visto in passato, tuttavia Charbonier e Powell sono riusciti a rimescolare i soliti ingredienti rendendoli, alla fine, appaganti. E dandoci anche una prova registica che, nel piattume mainstream statunitense attuale, si eleva sopra la media e risulta tutt’altro che pessima.
Il film è attualmente disponibile sulla piattaforma Amazon Prime Video e in dvd e blu-ray Midnight Factory.
https://www.imdb.com/it/title/tt9352356
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