The elevator: ascensore per l’inferno

Da Piano 17 dei Manetti Bros a The End? – L’inferno fuori di Daniele Misischia, passando per Devil di John Erick Dowdle, non si può certo negare che il cinema thriller abbia annoverato nei soli primi vent’anni del terzo millennio vicende completamente ambientate all’interno di un ascensore.

Non fa eccezione The elevator, che, primo lungometraggio diretto dal siciliano Massimo Coglitore, proveniente dall’universo degli short, prende ispirazione da una storia vera per immergersi nella città di New York, dove facciamo conoscenza con il cinquantenne Jack Trammell, interpretato dal James Parks visto in diversi lavori di Quentin Tarantino, dal dittico Kill Bill a The hateful eight.

Del resto, sia per quanto riguarda la storia raccontata che determinate citazioni verbali, non mancano chiari omaggi alla vendetta attuata da Uma Thurman nei confronti di David Carradine nel corso della quasi ora e mezza di visione che, una volta fatto conoscere allo spettatore quest’individuo ricco e famoso per il proprio show televisivo, lo fa ritrovare legato e prigioniero della misteriosa Katherine proprio nella cabina suggerita dal titolo, sita nel building in cui vive.

Una donna che, in possesso delle fattezze della Caroline Goodall di Schindler’s list – La lista di Schindler, sembrerebbe avere con lui un vecchio conto in sospeso, tanto da cominciare a sottoporlo ad un quiz analogo a quello che conduce in tv, ma caratterizzato da torture da infliggergli in caso di risposta sbagliata da parte sua.

Torture che, però, avvengono sempre fuori campo, in quanto, sebbene il meccanismo narrativo di base sia facilmente riconducibile a quello degli horror claustrofobici proto-Saw, l’insieme non punta allo splatter e al sensazionalismo da truculenta, bensì agli sguardi e alla tensione psicologica.

Una tensione che sale, appunto, ogni volta che attendiamo una risposta di Jack al quesito snocciolato da Katherine; man mano che i ruoli di vittima e carnefice vengono ribaltati di continuo e che, tra apparizioni per Niccolò Senni e Katia Greco, all’interessante cast internazionale si aggiunge il Burt Young che fu cognato di Sylvester Stallone nella saga Rocky, qui nei panni di un agente della sicurezza.

Sorvolando su un doppiaggio decisamente penalizzante, però, The elevator non manca di presentare qualche minuto di troppo, e, costruito su una sceneggiatura che lascia in parte a desiderare, arriva soltanto a sfiorare la sufficienza… grazie soprattutto alla critica in salsa allegorica che muove nei confronti di esseri tanto facoltosi quanto in grado di vincere sempre ricorrendo alla menzogna.

 

 

Francesco Lomuscio