Tradotto alla lettera, il titolo inglese di The front runner – Il vizio del potere suona bene anche in italiano: Il favorito. Ma poteva rischiare un’assonanza troppo simile al film candidato all’Oscar La favorita.
Al di là di questa giusta scelta della nostra distribuzione, il lungometraggio interpretato da un solido Hugh Jackman nei panni del Senatore democratico Gary Hart ci racconta la storia vera della sua ascesa in piena corsa per le presidenziali del 1988. Lui sa di essere il candidato favorito che dovrà sfidare il repubblicano George H.W. Bush alle prossime elezioni.
Il regista Jason Reitman sceglie una storia “vecchia” e vera, ma terribilmente attuale. Tratta dal libro di Matt Bai All the truth is out: The week politics went tabloid e sceneggiata dallo stesso Bai insieme a Reitman e a Jay Carson, inscena questo politico che poteva diventare presidente degli Stati Uniti e che finisce protagonista del più classico degli scandali sessuali, dovuto a esperienze con una sua attraente stagista Donna Rice e portato alla luce, in modo quasi banale, da un tabloid locale: il Miami Herald. In breve, quella che sembrava essere la tipica scappatella di un marito devoto, diventa un scandalo che travolge il candidato favorito e che lo costringe a ritirare la propria candidatura.
Dopo lo scandalo Clinton con Monica Lewinsky e le periodiche bufere che si abbattono sull’attuale presidente degli Stati Uniti Donald Trump, niente di nuovo sotto il sole, potrebbero pensare molti di noi. Tuttavia, l’aspetto più interessante e inquietante dell’operazione risiede nel fatto che il senatore Hart, all’epoca, non sopravvisse allo scandalo.
Il regista di Juno, Thank you for smoking e Tra le nuvole si muove perfettamente in questa curiosa vicenda, mostrandoci l’evoluzione della politica americana, divenuta ormai solo spettacolo. Ed è proprio il bravo Jackman a trasmetterci l’imbarazzo stesso del vero senatore, non tanto per essersi intrattenuto con un’avvenente stagista (del resto, aveva avuto noti precedessori, dai fratelli Kennedy all’insospettabile Lindon B. Johnson).
Il fulcro di tutta la faccenda non è il tradimento, lo scandalo, ma il circo mediatico che si scatena contro il politico e la sua famiglia, in particolare sua moglie (interpretata da Vera Farmiga), una ante litteram Hillary Clinton che, nonostante l’evidenza dei fatti, cerca di difendere la carriera del consorte, sebbene il perdono sia lontano.
Con un grande cast comprendente anche J.K. Simmons e Alfred Molina, un political drama d’altri tempi, qualcosa che fa riflettere ancora molti americani.
Perché, oltre ad essere un comune mortale che cede facilmente alla bellezza di una stagista (tra l’altro molto intelligente), Gary Harth era un ottimo politico e, per tutto film, lo vediamo come, disperatamente, cerca di portare gli argomenti veri ai dibattiti; ma a nessuno interessa davvero, tutti vogliono solo sapere della sua storia con Donna Rice, se veramente ha fatto sesso con lei.
Una totale invasione della privacy riportata in un film che sintetizza il proprio messaggio nelle parole vere del discorso d’addio del senatore: “La politica in questo paese, credetemi, è sul punto di diventare un’altra forma di competizione atletica o di una gara sportiva”.
Un film da non perdere per chi vuole approfondire la conoscenza sui meccanismi della democrazia del paese più potente del mondo, nonché una seria riflessione per la stampa, sui veri limiti, se mai ci sono stati, nell’invadere la privacy di un politico.
Il regista stesso, curiosamente, sottolinea che, alla fine, l’America ha perso un valido candidato per una banale storia con una stagista, ma poi ha scelto altri presidenti che, oltre a commettere lo stesso errore (come l’acclamato Clinton), hanno, però, fatto ben poco per il loro il paese, se non tante inutili guerre.
Quindi, possiamo solo che consigliare la visione di The front runner – Il vizio del potere e maliziosamente pensare che, con buona pace del vero senatore, sarebbe stato inelegante ma terribilmente adatto, come sottotitolo, il vecchio adagio “Tira più un… che un carro di buoi“.
Del resto, salire su uno yacht che si chiama Monkey Business (modo di dire con frase idiomatica che potremmo sommariamente tradurre in “roba da matti” o “mascalzonata”) e pieno di attraenti ragazze non era stata certo la migliore delle idee da parte del politico.
Tutto è vero e ci lascia molto da pensare sulla commistione tra politica e sesso, che da sempre fa parte della storia umanità.
Roberto Leofrigio
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