Al suo esordio registico, Etienne Kallos firma un’opera intensa e originale: The harvesters (letteralmente, “i mietitori”).
Uno sperduto villaggio nella provincia di Free State, nell’Africa del Sud. Janno (Brent Vermeulen) è un adolescente che aiuta la famiglia sia nel duro lavoro nei campi, che in casa. La sua è una piccola comunità di afrikaner dedita al lavoro ed alla preghiera. La tranquillità di Janno viene messa in discussione quando la madre, fondamentalista religiosa, decide di accogliere in casa Pieter (Alex Van Dyk), giovane orfano e problematico.
Elemento di disturbo, Pieter innescherà lentamente in Janno una crisi profonda che, tra gelosie e segreti svelati, porterà ad uno stravolgimento dei ruoli e al ribaltamento della situazione.
Il regista greco-sudafricano Kallos racconta una storia famigliare piena di contraddizioni, tensioni e suspense.
Si assiste lentamente ad un’inversione dei ruoli, dove il chiaro diventa scuro, il limpido nebbioso. Il regista si concentra sul rapporto conflittuale tra i due fratellastri: l’uno obbediente e pacato, l’altro rissoso e anarchico. Quando i due troveranno un punto di incontro, entrambi inizieranno un nuovo percorso individuale di crescita.
Ad una sceneggiatura ben articolata corrisponde una regia sempre attenta e meticolosa. Meravigliosi sono i campi lunghi tesi a cogliere la vastità e il silenzio assordante dei paesaggi; interessante, poi, è la combinazione di camera a mano e inquadrature fisse, necessarie per suggerire il conflitto e il malessere interiore dei protagonisti. Grazie alla musica dei fratelli Evgueni e di Sacha Gallerie l’atmosfera è sempre cupa e minacciosa, conferendo al lungometraggio un alone mitico e senza tempo. I suoi personaggi si fondono gradualmente con lo spietato paesaggio circostante, rigido e astioso.
Confezionato a dovere e curato, The harvesters è un film sulla fratellanza, sull’accettazione dell’altr,o ma anche sulla necessità di ognuno di trovare la propria strada al di là degli schemi religiosi e sociali.
Anastasia Mazzia
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