The lost city: all’inseguimento della… paillette rosa!

I fratelli americani Adam e Aaron Nee dirigono The lost city, una commedia dalle ambientazioni esotiche che si diverte a vestire i panni del film d’azione.

Il lungometraggio è prodotto dalla vincitrice del premio Oscar Sandra Bullock, che si prende anche il ruolo della protagonista, Loretta Sage. Loretta è una vedova che non ha del tutto superato il trauma della morte del marito archeologo.

Sebbene lei ami la cultura (tanto da trovare sexy l’uomo che ostenta intelligenza e sapere) diventa nota al grande pubblico per la sua carriera di scrittrice di romanzi rosa. Durante la promozione dell’ultimo capitolo della sua saga più famosa, Loretta viene rapita dal miliardario Abigail Fairfax (Daniel Radcliffe). Il suo intento è rubare una corona di pietre rosse, il tesoro di una fantomatica città perduta che, fatalità, corrisponde all’ambientazione dello stesso romanzo della Sage. Fairfax è convinto che la donna sappia l’effettiva ubicazione del tesoro e sfrutterà le sue conoscenze archeologiche e storiche per venirne in possesso. A cercare di salvarla dal folle antagonista c’è Alan (Channing Tatum), conosciuto al mondo per essere il modello che impersona sulle copertine dei libri di Loretta l’eroe Dash, bello e impossibile omaccione di cui la protagonista delle storie è follemente innamorata. Nonostante la sua buffa goffaggine, Alan approfitterà della situazione per dimostrare a tutti di non essere solo lo stupido volto di un personaggio immaginario. Senza scomodare i grandi nomi della serie Indiana Jones o le eroine potenti in stile Tomb raider, fino ai recenti Uncharted di turno, le caratteristiche di The lost city rimandano palesemente ad un cult del 1984: stiamo parlando di All’inseguimento della pietra verde di Robert Zemeckis, regista che da quel periodo si apprestava ad intraprendere un viatico di successi rimasti nella storia.

L’imbarazzante somiglianza di trama, incentrata anch’essa su una scrittrice di romanzi rosa, lascia poca libertà mentale per analizzare con imparzialità questo film dei fratelli Nee. Risulta altrettanto ambiguo notare che il soggetto sia accreditato a Seth Gordon. La nostra malizia sperava che da qualche parte spuntasse il nome di Diane Thomas, sceneggiatrice appunto del film di Zemeckis. Tuttavia, cercheremo di far finta di niente, per quanto difficile. La giunga tropicale è il medesimo set dell’innominato riferimento di script. Sono i personaggi a risultare edulcorati. I ruoli classici dei film d’azione di questo tipo vengono invertiti. È la donna qui a “comandare”, nonostante il ruolo in apparenza inappropriato di Loretta, scrittrice prestata a ricercatrice di tesori e traduttrice di antiche scritture a ideogrammi. L’uomo, Alan, è colui a cui viene affibbiato il ruolo dell’impacciato, solitamente visto alle figure in rosa (in questo caso ci distacchiamo totalmente dal rozzo Micheal Douglas di All’inseguimento della pietra verde). Stesso discorso vale per i cattivi, estremi e cinici nelle azioni, meno nell’effettiva credibilità (soprattutto quel Radcliffe che verrà segnato a vita dal suo curriculum di maghetto con gli occhiali tondi). Tuttavia pare abbastanza chiaro che fosse questo l’obiettivo dei registi.

Effettivamente, l’azione (con alti e bassi) cerca di spingersi più sull’intrattenimento che sulla ricerca dell’angosciosa caccia all’uomo. Le gag non mancano, sebbene non riescano tutte al 100%. Tatum risulta eccessivamente un bambolotto nelle mani di una dinamica Bullock prima donna in paillette rosa. Loretta stessa non mantiene sempre in pugno la situazione. La mancanza effettiva di un vero leader consapevole sposta ulteriormente il genere del prodotto verso un semplice intrattenimento per tutti, lasciando perdere discorsi di realismo o, quantomeno, equilibri di senso. Spicca, comunque, la parentesi firmata Brad Pitt, il Jack Trainer che dal nulla si palesa nella storia, lui sì vero potenziale eroe di trama, sfruttato bene ma per poco tempo (o forse funziona proprio per quel ruolo di semi-cameo?). Le sequenze del “super Pitt”, in cui l’attore si cimenta in acrobatiche lotte e coreografiche fughe, sono probabilmente il picco più alto raggiunto dal lungometraggio di Adam e Aaron Nee. Sebbene i quasi centoventi minuti sembrino eccessivi allo sviluppo di una trama basica e con un indirizzo ben chiaro sin da subito, The lost city è un film piacevole di poco velato orientamento girl power (seppur autoironico), con fasi di divertimento altalenanti. Godibile per rilassare la mente ma con una fedina penale già sporcata dal plagio malcelato che peserà su chi avrà modo di individuarlo.

 

 

Alessandro Bonanni