The Mirror and the Rascal: dove finisce la sperimentazione e inizia la logica

Classe 1960, il pittore Valerio de Filippis studia e riflette da sempre, con le sue opere, l’uomo declinato attraverso luce, corpo e psiche.

Adesso si sdoppia e affronta il Riccardo III di Shakespeare con il suo primo lungometraggio, The Mirror and the Rascal, opera che si muove disinvolta tra videoarte e musica.

La resa finale è quantomeno controversa: se l’impianto scenico (che guarda da vicino a Lars von Trier e al suo Dogville) è neanche troppo velatamente d’impostazione teatrale, il risultato è perturbante all’inizio, straniante dopo i primi dieci minuti, noioso da metà in poi.

E questo senza nulla togliere al valore dell’operazione. Innegabile è, però, che il lungometraggio diretto da de Filippis abbia più il sapore di un video musicale, anzi, di un’installazione museale di videoarte, piuttosto che di un film vero e proprio.

Sovvertire i codici cinematografici ha un senso se si rimontano – secondo il gusto e l’ottica dell’autore, certo –  per rientrare sempre nel territorio di partenza; ma se il risultato ha i connotati e le geografie di altri media, lo straniamento diventa fastidio per un film che, fondamentalmente, non è un film.

The Mirror and the Rascal assume la forma di una continua sperimentazione, probabilmente anche per lo spettatore che viene messo perennemente nelle condizioni di partecipare attivamente alla visione, con uno sforzo di attenzione e logica non indifferente.

Insomma, viene da chiedersi cosa abbia a che fare con il grande schermo se viene veicolato come “film”, visto che film non è.

Echeggia il Rocky horror picture show, si strizza l’occhio al cinema di genere, ma l’approdo è lontano, coincidendo la visione della pittura di de Filippis con il suo gusto figurativo riconoscibilissimo. Ma è proprio per questo, con un insolito cortocircuito, che l’ispirazione dell’autore, nella sua forma pittorica così scevra da ogni ammiccamento contemporaneo, lentamente scivola in una sorta di inconsapevole autocompiacimento, mentre svicola nella sperimentazione teatrale e musicale legata alla messa in scena delle immagini.

 

 

GianLorenzo Franzì