This is not cricket: un documentario su un gioco preso molto sul serio

La correlazione tra i personaggi e l’ambiente è uno dei temi centrali del documentario This is not cricket, prodotto da Mir Cinematografica con Rai Cinema, presentato Ad Alice nella città 2019 nell’ambito della quindicesima edizione della Festa del Cinema di Roma e visionabile dal 7 Maggio 2020 su ZaLab https://partecipa.zalab.org/, la piattaforma di cinema del reale in streaming di ZaLab.

Piazza Vittorio, definito il quartiere più multietnico dell’Urbe, è subito eletto ad affascinante location dall’appeal cosmopolita sulla scorta della voce fuori campo. Che richiama alla mente, nemmeno troppo alla lontana, i toni “malincomici” usati da Paolo Virzì in Ovosodo per conferire all’abile assunto narrativo, insieme al degno carattere d’autenticità dei filmini in super 8, la virtù di far ridere amaramente e di far riflettere ironicamente. Il timbro, a onor del vero, piuttosto programmatico della commedia all’italiana ambientata nel rione più popolare di Livorno stenta a ricreare la magia del luogo dove Vittorio De Sica girò scene indimenticabili del cult movie neorealista Ladri di biciclette.

Le sequenze in cui scatta l’amore per il cricket costeggiano toni simpatici ma risaputi. La poesia della strada, connessa in maniera assai evidente con quella del quotidiano, palesa la penuria in fase di sceneggiatura, ovvero ex ante, d’un cantore della levatura del compianto Cesare Zavattini. In cabina di regia Jacopo De Bertoldi sviluppa onestamente un’idea curiosa leggendo la notizia della vittoria di una squadra di cricket composta soprattutto d’immigrati. Il sentimento di tenerezza recuperato nel contattare Fernando e Shince, che con il suo approdo nella Città Eterna nel rigoglio della fanciullezza cementa l’appeal esercitato dalla scoperta dell’alterità, basta e avanza, comunque, per guadagnarsi la pagnotta. L’egemonia del cuore sul cervello, sia pure dispiegata con un professionismo restìo ad autentici palpiti sentimentali, antepone alle zone di freddezza dell’intelletto il calore umano dei luoghi dell’anima. Qualcosa di toccante ed etereo. Ma, al di là del punto di partenza, veicolato da un’etica assai settoriale che non tiene conto della solidarietà e dell’estrema lealtà in ambiti estranei all’inane contesa sociale, le banalità scintillanti, tipiche della propaganda, finiscono per prendere piede in pianta stabile. Ed è, con buona pace del bisticcio sinceramente cercato nella costruzione dell’adagio scritto di getto, l’esempio lampante d’un’occasione che poteva e doveva essere sfruttata meglio. Il carattere spiccio della geografia emozionale, con gli alberi e i marciapiedi sullo sfondo senza neanche il beneficio dell’inventario costituito di norma dalle correzioni di fuoco che veicolano l’interesse sui dettagli maggiormente indicativi ed empatici, perde la bussola nel piacere di arricchire lo spirito con un racconto di formazione per larghi tratti scontato.

La dolcezza, esclusa perciò dalla mitopoiesi, connessa al territorio in chiave generica ed esornativa, emerge lo stesso. La fragranza esistenziale che rappresenta un fulgido valore, ed ergo qualcosa che innesca appieno il diritto alla felicità, a prescindere dall’etnia, slitta nell’impasse. Dovuto al bisogno di mettere in cantiere un manifesto intento ad appaiare denunzie arcinote ed empiti di giustizia talora da verificare. La scrittura per immagini, ciononostante, risulta ugualmente efficace. In virtù della schiettezza dell’ispirazione. Imperniata sulla complicità. Un altro valore scambiato per un diritto. Le partite di cricket, vissute sia in campo sia ai bordi del terreno di gioco, stentano, tuttavia, ad assumere una funzione creativa, e quindi significante, rapportata all’effigie concreta degli amici per la pelle in lotta per l’accettazione in una società ritenuta sorda agli appelli dell’intesa scevra dagli interessi, materiali lasciano, perciò, a desiderare. Non sapersi sottrarre alla lusinga di segnalare quanto sono sordi ad appelli simili gli individui ostili alla sana complicità, perché ci individuano una piega negativa delle implicazioni ivi connesse, è riconducibile all’impasse segnalato sessant’anni fa da Jim Morrison: la gente parla di libertà ma rimane incatenata alle sue sicurezze. Il dispiegarsi della trama, con sconfitte, vittorie, arrabbiature, delusioni, risente dapprincipio dell’insistita voice over, che pregiudica l’efficienza di parecchi silenzi carichi di senso, e, in seguito, dell’iniqua invadenza del personaggio di Fernando.

Gli intrinseci echi di Porci con le ali si vanno ad amalgamare ai chiari rimandi a La meglio gioventù per mezzo di aneddotiche che non fanno francamente né caldo né freddo. Il desiderio fuori tempo massimo di andare in profondità, dopo aver respinto al mittente qualunque riferimento analitico alla pietas e allo scandaglio introspettivo d’ascendenza bergmaniana contrario ai pistolotti delle soap opere, miete una vittima innocente: la sospensione dell’incredulità, che in qualsivoglia documentario non costituisce una meta da raggiungere, bensì un punto di partenza, non esercita alcun tipo di ascendente. All’attivo restano senz’altro alcuni movimenti di macchina a mano che rendono al meglio il sapore della sfida, la precarietà della vittoria, il dinamismo dell’azione e l’illusione dell’avventura. Peccato che restino cortocircuiti poetici congiunti all’alienazione. Anziché al piacere della compagnia. Della voglia di ridere, scherzare, sdrammatizzare, prendersi in giro. L’assenza di slanci camerateschi e irriverenti, che cementano l’arguzia lontano dal vittimismo ipocrita, viene sopperita dai sorrisi sinceri catturati nel ballo. Ma anche in quel caso si tratta di lampi, di meteore, di moniti fugaci. Non di soprassalti. Al confronto i cospicui semitoni, che infittiscono la vicenda, sembrano degli involontari cali di personalità. Sebbene intrisi di rediviva serenità rispetto allo spettro della previa solitudine. In mancanza di un’inventiva solida, che tenga sui carboni ardenti gli spettatori avvertiti, This is not cricket si limita a esibire cosa succede al ridosso dello sport in questione. Ed è l’unico coerente aggancio degno di nota al titolo che trascende sul serio i colpi di gomito di sicuro effetto.

 

 

Massimiliano Serriello